Will Carling

Golden boy

Sia che si ami, sia che si odi, non c’è dubbio che Will Carling è una delle figure più significative nella storia del rugby inglese, insieme a leggende come Wavell Wakefield, Bill Beaumont e Clive Woodward. Basta leggere i suoi numeri per capire il perché: per 59 volte ha capitanato la nazionale inglese fra il 1988 e il 1996 (un record), vincendo il 75% delle partite cui ha preso parte con la fascia al braccio, conducendo l’Inghilterra alla vittoria di 5 Cinque Nazioni, di cui 3 Grandi Slam, e a disputare una finale nella Coppa del Mondo. Lavorando in tandem con il coach Geoff Cooke, è stato il responsabile della resurrezione della nazionale inglese, facendola uscire dalla stasi in cui si era impantanata alla fine degli anni 1980, per renderla nuovamente una potenza nel mondo dell’ovale.

Grazie al suo atteggiamento fuori e dentro i campi di gioco poi, Will ha anche contribuito ad elevare il profilo del rugby nel Regno Unito. Infatti, durante il suo “mandato”, questo sport ha registrato notevoli progressi per quanto riguarda l’immagine, scrollandosi di dosso gli abituali cliché fatti di botte, bende e birra, per trasformarsi in uno sport mediatico, seguito da ragazze alla moda e discusso seriamente nei migliori ristoranti londinesi.

Quello che più conta però, e che spesso si è dimenticato, è che Carling è stato soprattutto un centro di livello mondiale.

 

William David Charles “Will” Carling è nato domenica 12 dicembre 1965 a Bradford-on Avon, nel Wiltshire.  Dopo gli studi superiori a Sedbergh, in Cumbria, ha frequentato l’università di Durham dove si è laureato in psicologia. La sua scelta di vita in quel momento è stata quella di arruolarsi nell’esercito britannico, nel quale ha servito con il grado di sottotenente nel Reale reggimento di fanteria del Galles.  

 

Nel 1987, con l’ingaggio da parte degli Harlequins, è iniziata la sua avventura nel rugby, dove ha dimostrato fin da subito di possedere un grande tackle ed una considerevole capacità nel gestire la palla. Proprio grazie a queste sue capacità è stato convocato in nazionale per giocare contro la Francia a Parigi, il 16 gennaio 1988, in sostituzione degli infortunati John Buckton e Simon Halliday. L’Inghilterra in quella occasione ha giocato molto bene ed è stato solo per sfortuna se ha perso 10 a 9. Carling, ha dire il vero, è stato parzialmente responsabile di quella sconfitta, in quanto un suo passaggio è stato deviato mancando così una chiara occasione per andare a punti.

I bianchi hanno poi perso anche la successiva partita con il Galles, ma si sono rifatti vincendo contro Scozia e Irlanda ed in quel Cinque Nazioni si sono classificati al terzo posto.

 

Nella stessa stagione l’Inghilterra ha perso entrambe le prove della mini serie con l’Australia: 22 a 16 a Brisbane e il più pesante 28 a 8 a Sidney. Anche se il tour è finito con una vittoria contro Fiji per 25 a 12, Carling è stato molto critico nei confronti del capitano di quella spedizione, John Orwin, affermando che egli avrebbe sinceramente potuto fare di meglio. Probabilmente la pensava allo stesso modo anche Geoff Cooke perché ha passato la fascia dei bianchi proprio al ventiduenne centro, che in quel momento diventava il più giovane skipper che gli inglesi abbiano mai avuto.

La sua prima partita da capitano è stata un’entusiasmante vittoria 28 a 19 contro l’Australia, a Twickenham, che ha visto l’Inghilterra marcare quattro mete. Dopo quello straordinario pomeriggio di novembre, eccitato dalle possibilità che la vita nel rugby poteva offrire nonostante la sua natura ancora prettamente dilettantistica, Carling ha immediatamente lasciato l’esercito per dedicare tutto se stesso alla missione di rendere la sua squadra la migliore al mondo.

 

Will Carling ha comunque imparato presto che le grandi prestazioni nei match una tantum in autunno sono una cosa, mentre il Cinque Nazioni, giocato nel freddo periodo che va da gennaio a marzo è un’altra.

Nel 1989 l’Inghilterra ha iniziato la ricerca del titolo nel torneo, che mancava dal 1980, contro la Scozia a Twickenham, ma sono solo riusciti a gestire un pareggio 12 a 12, ringraziando anche la cattiva giornata degli Highlanders che hanno fallito ben sette penalty. In seguito i bianchi hanno battuto l’Irlanda a Lansdowne Road, quindi la Francia, la prima volta dal 1982 con tanto di prima meta internazionale di Will. Tuttavia, durante la partita contro il Galles a Cardiff, gli inglesi hanno dimenticato di scrollarsi di dosso il complesso di inferiorità che li aveva ossessionati dal 1963 e hanno perso la sfida 12 a 9, lasciando la vittoria del torneo ai galletti e arrivando secondi a pari merito con la Scozia.

Will ha subito poi un’ulteriore delusione, quando gli è stata negata la possibilità di unirsi ai British Lions che partivano per una tournée in Australia. Ad ogni modo la sfortuna di Carling ha aperto la porta ad un certo Jeremy Guscott, che l’ha sostituito contro la Romania e anche in tour con i Leoni. Più tardi i due giocatori hanno unito le loro forze al centro della nazionale inglese contro Fiji, iniziando così un binomio che durerà per 45 partite.

 

È arrivata la stagione del 1990. Will è stato uno degli sportivi britannici più in vista di quel periodo e la nazionale della rosa ha ripreso a destare interesse nel pubblico come non succedeva dai tempi di Bill Beaumont. L’Inghilterra, infatti, sembrava avere già in tasca il titolo del Cinque Nazioni, avendo vinto le prime tre partite con grande facilità, tra cui un esaltante 26 a 7 a Parigi con una meta di Carling. Il problema è che non avevano tenuto conto della determinazione della Scozia di Sole e Hastings, e le cronache dimostrano in modo chiaro che furono gli Highlanders ad aggiudicarsi il Grande Slam, grazie ad un epico 13 – 7 a Murrafyeld.

La sconfitta è stata un duro colpo per i bianchi e la gestione della nazionale da parte di Carling sembrava messa in dubbio; ma ciò ha dato loro la forza di prepararsi meglio per il futuro.

 

Il team inglese del 1991 era completamente diverso rispetto a quello che aveva giocato con tanto fascino l’anno precedente. Infatti, per quella stagione, i bianchi hanno impostato il loro gioco sulla forza dominante degli avanti, concentrandosi maggiormente sul possesso palla e sulla conquista del terreno, sfruttando la potenza delle loro maul.

La prima partita di quel Cinque Nazioni è stata contro il Galles, a Cardiff, dove non vincevano dal 1963. In una dichiarazione di intenti, i giocatori di sua maestà hanno percorso la distanza dal loro albergo all’Arms Park senza dire una parola. Il nuovo lavoro sul campo però, ha dato i suoi frutti: sette penalty di Simon Hodgkinson ed una meta marcata da Mike Teague hanno messo in ginocchio i Dragoni. Purtroppo, il grande trionfo è stato offuscato dal netto rifiuto da parte della squadra di concedere interviste dopo la partita, un incidente che ha reso a Will diversi nemici all’interno della RFU.

Dopo la vittoria sulla Scozia, l’Inghilterra è partita alla volta di Dublino per affrontare l’Irlanda a Lansdowne Road. Passati solo dieci minuti dall’inizio, i bianchi avevano già marcato due mete con Mike Teague e Rory Underwood. Il risultato finale è stato di 16 a 7 in loro favore.

Il Grande Slam è stato suggellato quindi con una vittoria, 21 a 19, con la Francia a Twickenham e il capitano Carling è stato portato in trionfo, com’era accaduto a Beaumont undici anni prima a Murrayfield.

 

Con una sconfitta per 18 a 12 contro la Nuova Zelanda, si era aperta la seconda Coppa del Mondo di rugby, disputata lo stesso anno proprio nel Regno Unito. Gli inglesi non si sono però demoralizzati; hanno battuto prima l’Italia (36 a 6), poi gli Stati Uniti (37 a 9) e sono passati agilmente nei quarti di finale dove hanno trovato ad attenderli la Francia. La gara, disputata a Parigi, è stata vinta dai bianchi per 19 a 10, con Will che è andato a punti dopo un errore di Serge Blanco.

In semifinale l’Inghilterra ha affrontato a Edimburgo i vecchi rivali della Scozia, battendoli nei quattro minuti finali con il risultato di 9 a 6. Tutto pronto per la finale quindi, peccato che, se in quel momento l’Inghilterra era la squadra più in forma al mondo, gli avversari lo erano ancora di più. Si trattava dell’’Australia, che aveva in David Campese una micidiale macchina da punti.

La finale a dire il vero era iniziata prima, sulle pagine dei media, i quali tentavano d’incendiare l’incontro con titoli altisonanti, cui rispondeva il solito Campese criticando apertamente il gioco proposto dai bianchi. Stranamente gli inglesi hanno deciso che proprio in quella gara avrebbero cambiato il loro affidabile stile di gioco basato sulla potenza della mischia, tentando di vincere la partita con i tre quarti; ma la difesa australiana è stata attenta e i Wallabies hanno fatto loro il trofeo vincendo 12 a 6, grazie ad una meta di Tony Daly trasformata da Lynagh, e a due penalty sempre affidati al piede di Lynagh, contro due calci di punizione messi in mezzo ai pali da Webb.

Carling pensava di avere fallito la sua "mission impossible" di elevare la propria nazionale sul tetto del mondo, ma a ben pensarci in soli tre anni l’aveva portata dalla crisi più nera a giocarsi la finale di un mondiale, ed era un fatto che ha impressionato l’intero popolo della palla ovale.

 

Con la pressione della Coppa del mondo ormai alle spalle, per gli inglesi il principale obiettivo del 1992 era quello di dimostrare che la loro non era solo una squadra orientata a giocare prettamente con gli avanti, ma che sarebbero stati in grado anche di vincere con un tipo di rugby a tutto campo. Il Cinque Nazione che si è svolto in quella stagione ha dato loro ragione, in quanto l’Inghilterra ha segnato quindici mete e ha stabilito un nuovo record di punti, 118, che ha spianato loro la strada verso il secondo Grande Slam consecutivo.

Will ha fatto capire subito di che pasta era fatta quella squadra, quando contro il Galles ha segnato una meta nel primo minuto gioco, sfruttando un calcio lungo di Rob Andrew che aveva  superato la linea difensiva dei Dragoni.

 

Carling, che quell’anno era stato anche insignito dell’Ordine dell’Impero Britannico, a novembre ha condotto alla vittoria per 33 a 16 la sua nazionale contro il Sudafrica a Twickenham, segnando una meta che è servita ad incrementare il già ampio vantaggio dopo i punti di Dewi Morris, Jeremy Guscott e Tony Underwood.

 

La stagione 1993 è stata più parca di successi rispetto a quelle precedenti. Con le sconfitte subite da Galles e Irlanda si era momentaneamente interrotto il regno dell’Inghilterra nel Cinque Nazioni.

Will ha quindi partecipato al tour dei Lions in Nuova Zelanda, dopo la delusione di quello mancato del 1989, ma anche questa volta non è stato fortunato, in quanto è stato costretto ad abbandonare dopo la prima gara con gli All Blacks persa 20 a 18, per cedere il posto a Scott Gibbs. Per la cronaca la serie è finita 2 a 1 per i neozelandesi e quel tour è stato ampiamente descritto nell’articolo dedicato a Gavin Hastings, che di quei Lions era il capitano.

Tuttavia, nel corso della stagione, l’Inghilterra ha battuto gli All Blacks 15 a 9, il che significa che Carling è riuscito a far vincere la sua squadra contro tutte e sette le maggiori potenze rugbistiche del mondo. Quella è stata anche la sua trentaseiesima partita da capitano, con la quale pareggiava il record stabilito dall’australiano Nick Farr-Jones.

 

Il 1994 è stato un anno di transizione per l’Inghilterra che, per colpa di una sconfitta contro l’Irlanda, hanno perso l’opportunità di vincere un altro Grande Slam. Nell’ultima partita, contro il Galles, i bianchi sapevano che se avessero segnato abbastanza punti avrebbero vinto almeno il campionato. La gara era iniziata bene, dal momento in cui Will ha combinato con Phil De Glanville e Rob Andrew per lanciare Rory Underwood a marcare la meta. Un’altra meta di Tim Rodber ha poi posizionato l’Inghilterra saldamente al posto di comando. Ma nel secondo tempo i punti segnati dal gallese Nigel Walzer hanno portato la gara sul 15 a 8, che per i bianchi voleva dire una peggiore differenza punti e quindi perdita del titolo, che sarebbe finito proprio nelle mani dei Dragoni.

 

Nel corso del medesimo anno Will ha totalizzato la sua cinquantesima gara da capitano nella partita vinta 54 a 3 contro la Romania.

 

La stagione 1995 ha visto l’Inghilterra accaparrarsi il terzo Grande Slam. Il torneo si è chiuso con una gara contro la Scozia, a Twickenham, dove i bianchi hanno vinto 24 a 12 grazie al piede fatato di Rob Andrew.

Carling e compagni hanno quindi iniziato i preparativi per la Coppa del mondo in Sudafrica, ma poco prima di partire la squadra è stata sconquassata da un terremoto. Will, infatti, ha fatto la sua comparsa al famoso programma televisivo "Game Fair", nel quale ha chiamato l’esecutivo della RFU "57 old farts", che suona più o meno come “57 vecchi tromboni”. La polemica era nata in seno al dibattito sulla trasformazione del rugby da dilettantistico a professionistico ed era stata originata dalle dichiarazioni di un consigliere della RFU, Dudley Wood, il quale aveva fatto alcune considerazioni a proposito di una supposta volontà dei rugbysti inglesi di tradire l’etica del gioco. Nel caos più completo Carling, che sosteneva che uno sport professionistico non può essere gestito con criteri ancora in voga nel dilettantismo, è stato licenziato, ma poi subito reintegrato quando il resto del team inglese ha dichiarato che non voleva un altro capitano all’infuori di lui.

Sul campo l’Inghilterra ha lottato bene durante la prima fase: vittorie su Argentina (24 a 18), Italia (27 a 20) e Samoa (44 a 22). Proprio contro gli azzurri però, Will ha lasciato il campo per un infortunio che l’ha costretto a saltare la partita dei quarti contro l’Australia.

Ancora canguri quindi, ma quella volta l’Inghilterra ha assaporato la sua dolce vendetta battendoli 25 a 22, grazie al famoso drop all’ultimo minuto di Rob Andrew. Finita la gara, si diceva da più parti che la squadra avrebbe potuto anche vincere il torneo. Purtroppo per loro però, le speranze sono evaporate nei primi dieci minuti della semifinale contro la Nuova Zelanda, quando il nuovo sensazionale fenomeno del rugby Jonah Lomu ha devastato le linee difensive inglesi. Ad un certo punto, con l’Inghilterra che perdeva 35 a 3, sembrava profilarsi all’orizzonte una disfatta di proporzioni epiche. Per fortuna il secondo tempo ha visto rientrare in campo una squadra più determinata e, grazie a Will Carling e a Rory Underwood che hanno marcato due mete ciascuno, il punteggio finale è stato un più contenuto 45 a 29.

Il torneo si è concluso con una sconfitta 19 a 9 contro la Francia nella finale di consolazione; è stata questa la prima sconfitta di Will con i galletti dalla gara del suo debutto nel lontano 1988, nonché la partita dell’addio di Philippe Sella al rugby internazionale.

 

Facciamo adesso un pò di gossip, perché è proprio del 1995 la notizia che Will avrebbe avuto una love story con nientemeno che Lady Diana. I due, che si erano conosciuti in un palestra di Chelsea, secondo i tabloid inglesi si scambiavano lunghe telefonate e avevano incontri ravvicinati a Kensington Palace.  Il "News of the World" poi, affermava che Diana riceveva Carling quando i figli erano al cinema, secondo il racconto di un autista di corte. Will ha sempre negato, anche se ha detto di sentirsi lusingato da quelle attenzioni. Sua moglie Julia, invece, era meno entusiasta.

Ma torniamo al rugby.

 

Nel 1996 Carling ha dichiarato che a fine stagione avrebbe passato la fascia di capitano a qualcun altro, ed era determinato a porre fine alla magica avventura al timone della nazionale con un grande risultato. Purtroppo però, la prima partita del Cinque Nazioni ha visto per la seconda volta consecutiva una sconfitta con la Francia quando, sul risultato di 12 a 12, Thomas Castaignede ha calciato un drop che ha dato la vittoria ai galletti per 15 a 12.

Gli uomini di Will hanno ottenuto successivamente tre vittorie fuori casa, ma quella squadra è stata etichettata da qualcuno come la meno talentuosa dal 1987.

Tuttavia la vittoria del Galles sulla Francia nell’ultima giornata ha fatto sì che gli inglesi si laureassero campioni per il secondo anno consecutivo. La notizia della sconfitta dei galletti è arrivata nei minuti finali della partita con l’Irlanda. Will, che si era infortunato alla caviglia e si trovava seduto in panchina, ha accolto il trofeo con un paio di stampelle.

 

Nonostante non fosse più lo skipper (il team manager Jack Rowell ha deciso che la fascia sarebbe andata a Phil de Glanville) Carling ha comunque continuato a giocare nella nazionale. Libero dall’onere di capitano, Will si è guadagnato numerosi elogi per le sue performance nel Cinque Nazioni del 1997, anche se il Grande Slam è scivolato via quando l’Inghilterra ha perso 23 a 20 con la Francia a Twickenham.

Il cap numero 72 di Carling è stato l’ultimo della sua carriera in maglia bianca. Si è trattato di una gara vinta contro il Galles per 34 a 13, il 15 marzo a Cardiff, nel corso della quale egli ha giocato ancora per pochi minuti con il suo vecchio amico Rob Andrew, che era entrato per una sostituzione.

Un anno più tardi, nel gennaio del 1998, è giunto anche il ritiro dagli Harlequins ma, solo 13 mesi dopo, i dirigenti gli hanno proposto di tornare in rosa, sia pure da riserva, per aiutare la squadra in Heineken Cup. Will ha accettato ed è anche stato schierato in Europa in alcune occasioni.

Nell’aprile del 2000 però, a causa di un infortunio alla spalla, Will Carling ha chiuso definitivamente con il rugby giocato. Da allora si occupa della sua azienda, attività che alterna a quella di commentatore sportivo ed editorialista sulla carta stampata.

Sia che si ami, sia che si odi, non c’è dubbio che Will Carling è una delle figure più significative nella storia del rugby e…..il fatto che questo sia l’articolo più lungo che abbia scritto sino ad ora ne è un indicatore rilevante.

 

Giada

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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