Rugbysti siete snob

Su L’Indipendente, Italo Cucci, firma storica dei giornalisti cresciuti a pane e Biscardi, scrive un pezzo sul rugby cogliendo lo spunto dall’articolo di D’Avanzo su Repubblica di qualche giorno fa e ampiamente divulgato in rugbylist. Accusa i rugbysti e il rugby di essere “snob” minimizzandone le qualità e i pregi (fatta eccezione per il terzo tempo). Vi invito alla lettura per rendersi conto di quanta spocchia si celi tra le righe.

(Italo Cucci.
L’Indipendente, 9 Settembre 2007)

All’improvviso il rugby in Prima Pagina. E non per una partita, una vittoria, una sconfitta. Rugby socio/culturale. Ha cominciato Giuseppe D’Avanzo di Repubblica di martedì. Sì, proprio D’Avanzo, l’elegante implacabile narratore dei Segreti di Stato: un’apologia intitolata “Il sogno di un’Italia diversa”. Sottotitolo “Perché questa disciplina è oggi l’anticalcio”. Sommarietto: “Analisi di un gioco il cui stile rappresenta tutto quanto il Paese non è riuscito a diventare”. Bene: un D’Avanzo che sconfina prepotentemente nello sport dovrebbe consentire all’umile sottoscritto una passeggiata nell’Altro Mondo e magari di sottolineare, da appassionato lettore delle inchieste di D’Avanzo, un altro sommarietto: “Analisi di un mondo il cui stile rappresenta tutto quanto il Paese non è riuscito a diventare”. L’avrei fatto, vent’anni fa, quando m’incazzavo per poco; oggi, saggio per esperienza, ma forse più per età, cerco di vedere il buono e l’utile dappertutto. Soprattutto, rispetto le opinioni altrui. Ad esempio, scrive D’Avanzo:

«Abbiamo la convinzione che l’Italia abbia bisogno del rugby; che i principi del rugby consentano di guardare meglio lo stato presente del costume degli italiani. Questo gioco può migliorare l’Italia».

Incasso, non ironizzo: ci avevo pensato anch’io, al Rugby Esemplare, ma senza arrivare a capo di nulla perché la muscolosa lealtà di quegli atleti, la limpida rudezza che produce rivali e mai nemici, e quel loro ritrovarsi nel Terzo Tempo, questo sì da adottare dovunque, ma con spirito franco non per vocazione all’inciucio, non hanno mai fatto breccia nella massa dei cosiddetti sportivi; forse perché – come giustamente sottolinea D’A. – «è un mistero inglorioso, per gli italiani, il rugby, pochi sanno esattamente di cosa si tratta…ed è un peccato perché il rugby ha le stesse capacità mitopoietiche del calcio e, come il calcio, permette di interpretare il mondo». Mi chiedo, tuttavia, perché questa critica agli italiani che hanno liberamente scelto di amare il calcio a decine di milioni, imitati dal mondo latino, da quello anglosassone, di recente anche da quegli snob dei francesi che fino a quando hanno potuto hanno celebrato sull’Equipe il rugby piuttosto che il calcio e poi hanno ceduto, diventando addirittura Champions du Monde elevando la palla rotonda al cielo (ricordo la vigilia del Mondial ‘98, le Figarò che lo presentava con un fondo di Raymond Aron intitolato “Il calcio oppio dei popoli” eppoi lo stesso giornale, un mesetto dopo, dedicargli tutta la prima pagina, perché avevano vinto). La colpa non è degli italiani, la cui passione calcistica scaturisce da una cultura non banale (leggersi la Storia sociale del calcio di Papa e Panico, edizione Il Mulino), ma semmai del rugby medesimo, che non è riuscito mai a sfondare desiderando il piacere snobistico della “casta protetta”. Il rugby non ha mai vinto niente, il nostro calcio può vantare 4 titoli mondiali vinti e, in quanto a popolarità, è secondo solo al Brasile. Dico spesso, certo esagerando: l’avessi avuto a mano io, il rugby, sai quanti giovani l’avrebbero scoperto e amato. Nel Sessantuno, a Bologna, le prime esperienze di giornalismo sportivo le feci con il rugby, spedito dal Carlino, la domenica mattina, nel fango dell’antistadio, dove giocava la Viro di Pederzini,propagandista e finanziatore del gioco. Il dopopartita, certe riunioni chiassose a tutta birra, mi lasciarono imperturbabile: c’era, nei protagonisti, una forse involontaria presunzione di superiorità,non solo muscolare, anche ideologica. Finii per appassionarmi al calcio dei breriani italianuzzi stortignaccoli, perché i miei connazionali erano in gran parte italianuzzi e stortignaccoli. Negli anni successivi, ebbi sodale, l’ottimo Giuseppe Tognetti che, se avesse incontrato l’intelligenza federale, sarebbe diventato il vero divulgatore del rugby: era scrittore colto, uomo mite, armato di disinteressata passione. Chiuso lì. Per anni il Rugby ha perso tempo e solo oggi sale alla ribalta, di tanto in tanto, ma spesso raccontato – anche in tivù – come evento folcloristico. L’allegria, la birra, gli irlandesi focosi coi bimbi appresso, gli scozzesi smutandati, il Flaminio tutto bandiere e popolo festante: un’anima esteriore, “dentro il rugby” ci arrivano in pochi. E per me è troppo tardi. Peccato.Dopo l’elegante tirata di D’Avanzo, ecco di nuovo il folclore che avanza: mercoledì, prima pagina del Giornale, Michele Brambilla racconta la storia di Epi Taione, star del rugby di Tonga, che per ottenere un finanziamento della sua nazionale in vista dei Mondiali di Francia ha scambiato il proprio nome con quello di uno sponsor irlandese e adesso deve chiamarsi Paddy Power, come la ditta. Brambilla si scandalizza, e va bene, ma io trovo proprio in questo gesto tanto scriteriato come appassionato – e generoso, no? – l’Essenza del Rugby. Meno complicato, meno snob. Epi Taione ha preso i soldi e via. Dopo il Mondiale, ciao Paddy Power. Ecco dove aprirei la discussione: D’Avanzo o Taione? Propongo di coinvolgere – se D’Avanzo ci sta, non si sa mai – Benito Paolone, padrino (patrono?) del Rugby Catania.

7 responses to “Rugbysti siete snob”

  1. Italo Cucci, palesa semplicemente un debito di riconoscenza che ha verso il calcio. Grazie al calcio ha fatto un sacco di soldi.

  2. L’articolo di Italo Cucci, denuncia chiarmnte la paura che il rugby scavalchi il calcio (non più uno sport, ma uno show, che oltre tre squadre hanno visibilità e i giornalisti le sostengono sopratutto per interessi economici. Naturalmente Cucci non sa cosa scrivere del rugby,non conoscendone praticamente nulla. Mi dispiace Italo, dover scrivere così di te, che come me sei bolognese, ma il tuo articolo lo potevi evitare. Se poi è una provocazione, allora potrei scrivere del calcio,tanta cacca da infastidire anche i nasi più corazzati. Buon oppio Italo, il rugby ha una storia che sopporta benissimo quattro righe di una firma come la tua.

    Gianni Zanasi

    con orgoglio inisignito del trofeo " Giuseppe Tognetti" quale migliore giornalista del rugby.

  3. Si prova tristezza infinita a leggere certe cose. Soprattutto se scritte da gente che osanna un mondo marcio e ormai infangato da se stesso.

    Tristezza si prova a vedere come pur di dire qualcosa, vengano dette pure sciocchezze.

    Forse non potendo sopportare la storia dei propri miti, il caro Italo sente la necessità di infangare un mondo che non conosce.

    E allora caro signor Cucci, faccia la cortesia, tenga la sua penna lontana dalle nostre mete, e vada pure a gridare quanto è bravo Mourinho e quanto è intelligente Cassano ospite da biscardi.

    Noi continueremo a inseguire una palla ovale per 100 metri di campo, sudando ogni metro e calpestando il fango che quelli come lei hanno la brutta abitudine di masticare e sputare.

    cordialmente.

    Paolo

  4. Cucci dimostra quanta pochezza hanno le firme calcistiche della nostra nazione. Senza risse verbali, mourinhi e gli scandali di moggiopoli palesano quanto non sappiano scrivere di nulla senza fare polemiche.

    • Noi siamo superiori, noi siamo diversi, noi siamo l’elite.

      Non abbiamo "un involotaria presunzione di superiorità" …caro Italo è proprio così.

      Inoltre ricorda soli i titoli mondiali del calcio.

      Si dimentica del calcio scommesse, delle partite truccate, dei casi di doping, degli scudetti assegnati a tavolino, della violenza negli stadi, e tanto altro che sta intorno al suo sport.

      Che se lo tenga stretto.

  5. Cucci è un pessimo giornalista, sotto ogni punto di vista, persino in qesto articolo, dove avrebbe potuto impegnarsi per ripicca, non si capisce un cazzo. Questi si mandan o le frecciatine a mezzo stammpa, i giornalisti per me sono altri, il giornalismo è altro.

    Comunque come dire che il rugby non è snob? Ancora nei novanta non era professinistico, mondiali fatti senza sponsor tecnici.. (siamo ricchi, cazzo ci frega). VAi in Inghilterra e l’elite gioca a rugby, le scuole popolari a calcio.

    Ma io volevo porre l’accento anche su un altro aspetto: l’ipocrisia. Mi viene la nausea a sentire parlare di lealtà e amizia al terzo tempo. Com’è che gente che salta sull’avversario davanti all’arbitro e in diretta TV se gli va male si prende il giallo? Vogliamo parlare dei trucchetti delle prime linee? La lealtà si deve mostrare in campo, non davanti alle pinte di birra.

    Non conosco PAolone, ma so che il Catania Rugby aveva(ha?) una tifoseria degna della peggior squadra di calcio, che voi sappiate qualcuno ha fatto mai qualcosa in merito?

    E faccio notare che tamarrelli frustrati Epi Taione giocano senza problemi, senza multe, senza un cazzo.

    Vorrei davvero sentire cosa ha da dire chi ha giocato più di me, magari sono io a vedere ipocrisia per mancanza di esperienza.

    • Quello che si augura D’Avanzo, cioè che si prenda esempio dal rugby per risvegliare le coscienze assopite degli italiani spero avvenga davvero, e ciò che dice Cucci è la misera difesa da parte di una firma, purtroppo nota, di un sistema ormai totalmente incancrenito. Solo che questo rugby non dovrebbe essere quello italiano dove, tranne che in alcuni club, quelli che decidono hanno più o meno gli stessi comportamenti dei dirigenti calcistici: la nostra nazionbale che schiera puntualmente dieci quindicesimi d’oriundi o presunti tali; che finge di cantare l’inno nazionale con amor di patria; che doveva essere il volano per; crescita del livello dei campionati nazionali, gioca il mondiale e il sei nazioni da più di vent’anni e a tutt’oggi la crescita a mio parere è stata inferiore di molto alle aspettative. E questo perchè sono state sprecate risorse enormi con una politica federale che rispecchia quella politica con le stessepersone da anni nei ruoli fondamentali sia tecnici che amministrativi.

      Sicuramente D’Avanzo con cui ho giocato per anni e di cui sono stato amico dall’adolescenza intendeva il rugby di un altro mondo.

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