DOSSIER Mondiali di rugby 2007
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Da La stampa
di STEFANO SEMERARO
Obiettivi, Mr Mallett? «Sarebbe arrogante dire che vinceremo i Mondiali o il Sei Nazioni – ci ha risposto ieri, appena sbarcato a Parigi dal Sud Africa -. L’obiettivo mio e della Fir è di rendere la Nazionale competitiva in ogni singola partita. Di far sudare qualsiasi avversario. Ho allenato squadre che puntavano ai Mondiali, come il Sud Africa, o al campionato, come lo Stade Français. Arrivare fra i primi 8 o 4 di un Mondiale è una sfida altrettanto dura, che mi attrae». Giusto l’obiettivo fallito a St-Etienne. «Ho visto il match contro la Scozia, avete avuto anche sfortuna. E’ mancato il killer instinct, ma quell’ultimo calcio è uscito di poco. Il problema secondo me è stato il match perso così male contro gli All Blacks. Una botta dura per le vostre aspettative, che ha condizionato la squadra per il resto del torneo».
Lei, da sudafricano, l’haka l’avrebbe affrontata? «Sì. Ho sempre invitato i miei giocatori a fronteggiarla, dimostrando di non avere paura. Chiudersi a cerchio non è stata forse la soluzione migliore». Il Sei Nazioni è quasi alle porte, da dove partirà? «Prima di rispondere voglio parlare con lo staff, che conosco e apprezzo, con il manager Checchinato. Avete buoni giocatori: Castrogiovanni, Mauro Bergamasco che ho allenato a Parigi, Parisse, Lo Cicero, l’estremo Bortolussi. Sicuramente l’addio di Troncon apre un grande vuoto. Il primo obiettivo sarà colmarlo e trovare un n. 10 all’altezza delle ambizioni mie e della federazione». Da filosofo e da allenatore vincente, ha già un’idea del gioco che vuole dare al nostro XV? «Per allenare una squadra di rugby bisogna essere un po’ filosofi – dice ridendo -. Da studente amavo John Stuart Mill e Rousseau, sono convinto che bisogna partire dai giocatori che abbiamo e dai punti di forza. L’Italia ha un ottimo pacchetto di mischia, quindi bisognerà fare in modo che i tre-quarti giochino di più per e con gli avanti. Un esempio è l’Argentina di questo Mondiale: partendo da una base ridotta di praticanti, come quella italiana, sa sfruttare le proprie individualità puntando su quello che sanno fare meglio, con intelligenza». Si dice nell’ambiente che porterà con lei giovani sudafricani da naturalizzare, è vero? «La Fir vuole puntare molto sui giovani, italiani innanzitutto. Secondo me, anche nella prospettiva di costruire il n. 10 del futuro, non è una cattiva idea portare promesse straniere a vivere e studiare qui. Magari a sposare un’italiana! Non solo dal Sud Africa, ma anche dall’Australia, dalla Nuova Zelanda, da Tonga». Che ricordo ha dell’Italia? «La gente, stupenda. Camminavo per Rovigo e tutti mi sorridevano e parlavano di rugby». Sa che troverà un ambiente depresso per la storica occasione persa? «Anche a Rovigo era così: esaltati dalle vittorie, depressi dalle sconfitte. Ma non drammatizzerei. E’ stato solo un incidente di percorso, ci rifaremo».
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