Nicolas De Gregori è uno dei volti nuovi del Benetton Treviso della stagione che si stà per concludere. Fresco realizzatore della sua prima meta in Super 10 con la maglia biancoverde, questo pilone nato a Buenos Aires il 2 luglio 1980, si è messo in evidenza per mobilità e solidità in mischia chiusa. Da tre anni in Italia, ha giocato per due stagioni con l’Almaviva Capitolina, segnando 9 mete nel campionato di serie A 2005/2006 e meritandosi così la promozione con la squadra romana nella massima serie. Nella stagione successiva, poi, una meta contro l’Overmach Parma in campionato e una in Coppa Italia, proprio contro il Benetton Treviso. Quest’anno infine il passaggio nella Marca e il fiore all’occhiello costituito dalle due mete in Heineken Cup contro i Newport Gwent Dragons.
Il ruolo del pilone nel rugby moderno sta assumendo sempre maggiore importanza e spesso proprio questi giocatori sono i più richiesti e ricercati. Che tipo di caratteristiche deve avere un atleta considerato il perno della mischia e che, proprio in Argentina, ha trovato alcuni degli interpreti di maggior qualità?
«Il pilone deve essere un giocatore solido, duro e bravo in mischia e poi deve sapersi adattare ai dettami del proprio allenatore. Nella nostra squadra, ad esempio, si predilige la maul e poi comunque deve esserci attenzione nella spinta in mischia e nelle rimesse laterali. Personalmente credo di essere un giocatore sveglio, agile e veloce. In Argentina ci sono scuole di mischia e c’è una tradizione molto importante. Ci si allena tanto anche sulla posizione».
In Argentina, però, il rugby è ancora amatoriale, seppur in crescita, e allora ecco l’occasione di tentare l’avventura in Italia.
«Sono contento di essere venuto qui, perché ho imparato molto e sono particolarmente soddisfatto di aver fatto l’esperienza dell’Heineken Cup, che sicuramente aiuta a crescere. Ero in Argentina, dove lavoravo come cuoco, quando un amico che aveva giocato con me a Buenos Aires mi ha chiesto se ero interessato ad andare a giocare a Roma, e io ho accettato immediatamente. Il rugby argentino sta crescendo molto dopo l’ultimo Mondiale positivo e ora penso stiano entrando anche persone e sponsor per aiutare a migliorare tutto il movimento. Sicuramente all’estero, è un rugby diverso. In Argentina ti alleni due o tre volte alla settimana e fai palestra per conto tuo, mentre in Italia, Francia e Inghilterra hai doppie sedute di allenamento quasi tutti i giorni».
Molti sono gli Argentini che vanno proprio all’estero per giocare a rugby e quello che colpisce di più è proprio la loro capacità di far gruppo. Ma com’è il rapporto con le origini di questi “emigranti” della palla ovale.
«C’è una capacità di restare uniti che è tipica di noi Argentini – ribadisce l’interessato – dovuta probabilmente al fatto che abbiamo giocato spesso assieme o contro e che tra di noi siamo tutti amici, proprio perché è un rugby ancora amatoriale e siamo noi a dover pagare una quota associativa per giocare e non viceversa. Per quanto riguarda il rapporto con le origini, devo dire che è molto intenso. Io ho sempre sentito parlare dell’Italia dalla mia famiglia e sognavo di venire nella terra di origine dei miei parenti. Poi tutti i miei cognomi sono chiaramente di origine italiana, De Gregori, ad esempio, è un cognome di provenienza genovese».
E parlando di famiglia non si può non citare una curiosità particolare relativa proprio ad una parentela inconsueta di Nicolas De Gregori.
«Mia nonna è nata vicino a Caserta e il suo cognome è Capone. E’ una cugina del famoso gangster Alfonso, meglio conosciuto come Al. Però lei è andata in Argentina quando aveva 8 anni e quando non era ancora nata suo cugino già aveva 19 anni e viveva a Chicago, quindi di fatto non si sono mai nemmeno visti. Resta solo una parentela sulla carta e decisamente particolare».
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