(dedicato a tutti i tifosi del Rovigo)
Nei giorni scorsi ho scritto, senza farlo apposta a dire il vero, di giocatori che sul finire degli anni ottanta hanno lasciato il segno nel campionato italiano; campioni che con la loro classe non solo hanno contribuito a rendere grandi le squadre in cui hanno militato, ma sono riusciti anche a dare una grossa mano alla crescita del movimento rugbistico nel nostro Paese. Proseguo anche oggi sulla medesima strada, perché non posso esimermi dal presentare un altro di questi illustri atleti “nostrani”.
Dal 26 aprile 1980, giorno in cui ha fatto la sua comparsa sul palcoscenico internazionale contro la selezione del Sud America (24 a 9 il risultato), la maggior parte degli addetti ai lavori è stata unanime nel definire Naas Botha un predestinato alla grandezza. Questo mediano d’apertura, infatti, ha dimostrato da subito di essere un giocatore costituito da puro genio e i fatti daranno loro ragione, perché alla fine è risultato essere il più fenomenale “point scorer” che il rugby sudafricano abbia mai conosciuto.
Il problema è che tale era la sua capacità nel gioco al piede che poche persone hanno pienamente apprezzato in pieno la sua eccezionale gamma di competenze. Era molto veloce e possedeva un brillante acume tattico, ma tanto grande era il suo talento nei calci che tutto il resto passava in secondo piano. E non è tutto, perché questo “Golden Boy”, con la sua zazzera di capelli biondi e l’aspetto da bravo ragazzo, è stato il primo rugbista sudafricano ad essere diventato una superstar a livello mediatico, una specie di sex symbol con le telecamere che lo seguivano in ogni suo spostamento. Un po’ per questo e un po’ a causa di un carattere freddo e calcolatore, la sua compostezza è stata più volte travisata e scambiata per arroganza.
Nato a Breyten, giovedì 27 febbraio 1958, Hendrik Egnatius Botha ha studiato alla Hendrik Verwoerd High School di Pretoria. Nonostante il suo sogno fosse quello di diventare un giocatore di baseball, appena compiuti i 19 anni è stato assoldato nelle file del Northern Transvaal, squadra di rugby che lui ha portato undici volte in finale della Currie Cup vincendone 6.
Promosso a capitano nel 1980 è stato, all’età di 22 anni, il più giovane che abbia mai sollevato il trofeo sudafricano. Con la fascia al braccio ha confezionato in totale 128 partite su 179 presenze.
Sempre nel 1980, come abbiamo visto, è stato selezionato per gli Springbocks, con i quali ha svolto due gare contro il Sud America (che poi sarebbe la nazionale argentina camuffata per aggirare il bando dovuto all’apartheid) prima di essere convocato per fronteggiare i British Lions.
Tutti i sudafricani avevano atteso con ansia quel tour dei leoni, vedendo in esso l’opportunità di ripristinare l’orgoglio nazionale dopo quello perdente e “rissoso” del 1974. La serie è stata vinta e Botha che ha dimostrato di essere un vero match winner è stato catapultato sotto i riflettori della ribalta internazionale. La stampa britannica lo ha soprannominato "Nasty Booter" dopo che i verdi hanno vinto la terza prova 12 a 10 (a Port Elizabeth il 28 giugno) con un suo difficile calcio dalla touchline in condizioni di tempo umide e ventose.
Per i tifosi invece, che l’hanno da subito innalzato ad idolo, era semplicemente “Naas magic”.
D’altronde non era un caso se il suo piede fatato faceva sembrare tutto facile. Da sempre Naas ha preparato le gare con meticolosa efficienza: in allenamento provava il suo calcio incessantemente per molte ore ogni giorno e rinomata era l’intensità con cui ricercava la perfezione.
Nella primavera del 1981 il Sudafrica ha sconfitto in entrambe le gare l’Irlanda scesa a sud per una tournée; ma il capolavoro di Naas è arrivato in agosto, quando ha segnato 20 punti nel 24 a 12 con cui gli Springbocks hanno sconfitto la Nuova Zelanda a Wellington.
Nel 1983, all’apice della sua carriera, Botha è partito per gli Stati Uniti a cercare soldi facili nel football americano con i Dallas Cowboys. Un successo per le sue tasche, è vero, ma un fiasco a livello sportivo, che lo ha visto fare presto ritorno al più povero (di soldi ) ma ricco di contenuti rugby.
Nel 1986 il numero 10 di Breyten si è visto assegnare per la prima volta la fascia di capitano della nazionale durante la vittoriosa serie contro i ribelli New Zealand Cavaliers.
L’anno seguente si è trasferito a Rovigo, dove ha vinto due campionati nazionali: nel 1988, quello che ha permesso al club rossoblu di fregiarsi della stella, e nel 1990. Durante la finale di quest’ultimo, giocata a Brescia contro Treviso, è stato proprio Naas a segnare tutti i 18 punti della vittoria.
Nella squadra polesana, che allora si chiamava Colli Euganei, Botha vi è rimasto sino al 1992, totalizzando 119 presenze e segnando 1195 punti (32 mete, 271 penalty, 74 drop).
In nazionale intanto, nelle due partite con il World XV per il centenario dell’IRB nel 1989, a Cape Town in agosto e a Johannesburg a settembre, Naas ha dimostrato di non essere solo una perfetta macchina di calci. Quei giorni ha sciorinato due gare perfette, attuando una sconcertante serie di audaci esecuzioni e cambiamenti di ritmo, creando efficaci spazi per la sua squadra.
La carriera di Naas è durata abbastanza a lungo tanto da riuscire a vedere il Sudafrica riammesso nel rugby internazionale nel 1992 e per capitanare le partite del tour in Europa di quell’anno. A ottobre gli Springbocks hanno affrontato due volte la Francia, con la vittoria di Lione e la sconfitta di Parigi. Quindi, il 14 novembre, l’Inghilterra a Twickenham, partita questa che ha visto Botha dare l’addio al rugby internazionale all’età di 34 anni. Per la cronaca, i verdi hanno perso 33 a 16.
A fine carriera Naas Botha ha totalizzato con la nazionale 312 punti, di cui 18 drop, nonostante abbia inanellato solo 28 caps a causa della lunga segregazione cui la sua nazione è stata costretta per colpa dell’apartheid.
Il “South Africa Rugby Player of the Year” è un premio che è stato introdotto nel 1970 ed è stato vinto da alcuni dei più grandi giocatori nel corso degli anni. Solo tre giocatori lo hanno intascato più di una volta: Gerald Bosch e Uli Schmidt, entrambi due volte e Naas Botha, che se lo è accaparrato per ben quattro volte, nel 1979, 1981, 1985 e 1987.
Nel 2005 è stato introdotto nella International Rugby Board Hall of Fame, cementando in questo modo il suo status fra i più grandi giocatori di tutti i tempi.
Oggi Magic Naas vive a Pretoria, con la seconda moglie Karen (la prima si chiamava Francois) e le loro tre figlie, ed è un noto commentatore di rugby sul canale South African Supersport.
Per finire un pensierino. Nessuno saprà mai se con la presenza del Sudafrica il mondiale del 1987 avrebbe preso una piega diversa. Di sicuro c’è, e questo lo posso affermare anch’io nonostante la mia ignoranza rugbistica, che Naas Botha sarebbe stata una delle stelle più brillanti di quel torneo.
Giada
Quello che mi ha sempre fatto più impressione di Botha, oltre alla pedata potente e precisissima, era la sua capacità di uscire dalle fasi di lotta del gioco con la pettinatura sempre perfetta come quella di Big Jim il bambolotto.