GEMELLI d’Italia, Massimo e Marcello Cuttitta, il rugby come mezzo per
dimostrare l’attaccamento alle proprie origini, il Sudafrica come scuola. Di
vita e di sport. Vite parallele. La famiglia che emigra nell’altro emisfero con
loro ancora lattanti, il ritorno in Italia da maggiorenni, a L’Aquila il primo
contatto con l’ovale di casa Italia. Otto mesi più tardi Marcello era già in
azzurro, Massimo ancora doveva crescere, lui fa il pilone e si sa che in mischia
si vive al rallentatore, si matura più tardi, non si bruciano le tappe. La prima
Coppa del Mondo, 1987, il pilone che fa da spettatore, l’ala che esplode, segna
quella che passa agli archivi come la meta più bella del Mondiale, mette il
terrore addosso ad argentini e figiani, si fa notare a tal punto che gli
spocchiosi giornalisti australiani lo inseriscono nel quindici da sogno che
raccoglie le stelle della manifestazione. Vite parallele, sempre insieme, a
lottare fianco a fianco, a fare armi e bagagli per andare a Milano a cucirsi tre
scudetti sulla maglia. Nel 1990, Italia-Polonia, Massimo è cresciuto ed anche
per lui c’è un posto in azzurro. Quella maglia non riusciranno più a
sfilargliela di dosso.
In mezzo un’altra Coppa del Mondo, un’altra dimostrazione di grandezza di
Marcello, il mondo che ha confidenza con il rugby per una volta invidia alla
piccola Italia un suo prodotto. Il salto ai giorni nostri è brutale: in
Nazionale oggi Massimo Cuttitta ha il segno del comando, capitano di statura
internazionale, coraggioso condottiero di una mischia che ha bisogno di lui per
crescere. Marcello non c’è più, si è chiuso la porta alle spalle, ha salutato,
ringraziato con una punta di amarezza, si è tirato fuori dalla lotta. Per lui il
Sudafrica era tutto, l’occasione della vita, un tuffo nel passato e la voglia di
far vedere ai suoi maestri che aveva messo a frutto gli insegnamenti ricevuti da
bambino. Tanto per iniziare nel disgraziato esordio con le Samoa si era esibito
nel suo passatempo preferito: andare in meta. Quella segnatura lo ha consegnato
alla storia, solo in tre sono riusciti nell’impresa di lasciare l’impronta in
tutte le edizioni della Coppa del Mondo. Gli altri si chiamano Gavin Hastings e
Ieuan Evans. Miti. Poi la bocciatura, la panchina contro l’Inghilterra a Durban,
nel suo stadio, di fronte ai compagni d’infanzia della Pinetown School, la sua
scuola. La panchina, sarebbe stato troppo. Saluti e baci. In campo ci va
Massimo: <Quel giorno sono stato più capitano che fratello. Ho giocato con il
dolore nel cuore, rispettato le decisioni del tecnico>. E lo ha fatto così
bene che ha stampato una meta in faccia ai maestri inglesi, la meta che per la
prima volta ha fatto parlare dell’ingresso dell’Italia nel Cinque Nazioni.
<Una meta per la famiglia>, disse Massimo, di colpo più fratello che
capitano.
Adesso di nuovo il Sudafrica sulla loro strada. Marcello si è sposato, ha
trovato un lavoro, gioca, e bene, con il Milan. Massimo aveva una speranza
segreta, nascosta in fondo al cuore: <Spero che si ricordino di Marcello, sta
bene, ci servirebbe la sua presenza>. Speranza delusa, in Nazionale non c’è
più posto per l’ala che il mondo ci ha invidiato. Intanto il Sudafrica continua
ad esercitare un’attrazione fatale, appena chiusa l’avventura mondiale Massimo
ha giocato due partite con il Natal, la provincia che ha trionfato nel
campionato di quest’anno. <Un po’ di quella Currie Cup è anche mia, ho
vissuto un’esperienza indimenticabile, in un ambiente molto più sereno, dove il
rugby ti offre delle certezze. Da noi non è ancora così, io ho 29 anni, non ho
un impiego e per rimanere al livello imposto dal panorama internazionale devo
lavorare sodo. C’è il rischio di non divertirsi più>. Il Natal li richiede.
In coppia. La storia delle vite parallele potrebbe ricominciare.
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