Quando i British Lions hanno lasciato il Sudafrica dopo il tour del 1968, è stato chiesto al loro allenatore, Ronnie Dawson, di nominare il miglior giocatore fra tutti i team provinciali con i quali i leoni si erano incontrati. Quando lui ha fatto il nome di Joggie Jansen, l’intervistatore ha chiesto incredulo: "Chi?".
Soltanto due anni dopo però, tutto il Sudafrica sapeva chi fosse questo Joggie Jansen.
Nato a Griekwastad, il 5 febbraio 1948, Joachim Scholtz Jansen, detto Joggie, è diventato una stella di prima grandezza in un ormai famoso 25 luglio 1970, quando gli Springboks hanno affrontato la Nuova Zelanda per il primo test match, al Loftus Versveld Stadium di Pretoria.
I neri erano arrivati all’appuntamento con alle spalle un record di 10 partite consecutive senza sconfitte, tant’è che anche quella volta ci si aspettava che essi avrebbero vinto comodamente. Dal canto loro, invece, i sudafricani avevano perso diverse gare nel loro recente tour in Gran Bretagna e la squadra mancava di personalità. Ma proprio quel giorno ha fatto il suo debutto in squadra un centro ventiduenne che giocava per Orange Free State: Jansen, per l’appunto.
Il giovane studente universitario, nonostante il primo incontro internazionale avvenisse contro i potenti All Blacks, è entrato in campo senza alcuna paura, tant’è che la numerosa folla presente sugli spalti raramente aveva visto qualcuno impegnarsi così duramente nei contatti, come lui ha fatto sin dal fischio iniziale.
Solo cinque minuti di gioco erano trascorsi, quando Joggie scriveva il suo nome con pennarello indelebile nella storia del rugby sudafricano. Non appena l’apertura kiwi Cottrell Wayne ha ricevuto la palla da una mischia, Jansen si è precipitato nel suo ventre con tale sorprendente potenza, da spedirlo diversi metri indietro e lasciarlo steso sull’erba.
Proprio in un momento in cui i suoi compagni di squadra erano in cerca di ispirazione, il nuovo centro gliela aveva fornita su un piatto d’argento. La folla era in delirio e i Boks hanno vinto 17 a 6.
Il debutto di Jansen ha suscitato una grande reazione da parte dei media. "A star is born" era il titolo più ricorrente, e il suo nome non è mai uscito dalla carta stampata per tutto il resto della serie.
Nella seconda prova, giocata a Cape Town e persa 8 a 9, Jansen ha segnato anche una meta, la sua unica a livello internazionale, correndo e sfondando con la forza la difesa della Nuova Zelanda, formata da Brian Lochore e Graham Thorne, sino a schiacciare l’ovale oltre la linea.
Dopo che i verdi hanno vinto la terza partita 14 a 3, negli ultimi minuti della quarta, ecco un altro grande tackle da parte del centro di Free State. Quando sembrava che gli All Blacks stessero prendendo il sopravvento di una gara in bilico, Jansen ha demolito il loro estremo Gerald Kember con un placcaggio mostruoso, che l’ha fatto volare all’indietro. Quel tackle ha portato ad un’emozionante meta per i Boks: la gara è stata vinta 20 a 17 e con essa la serie.
Dopo di allora Jansen ha totalizzato però solo altre sei presenze con la nazionale, per un totale di 10, trasformato sovente da difensore a letale arma d’attacco, grazie alla sua potenza. Su tutte spiccano le tre vittorie del 1971 con i Wallabies, sul loro terreno.
Dopo la sconfitta per 9 a 18, subita dagli Springboks contro l’Inghilterra all’Ellis Park, il 3 giugno 1972, i selettori hanno reagito, nonostante il parere contrario di numerosi esperti, tagliando almeno la metà del team, fra cui star del calibro di Piet Greyling e lo stesso Jansen.
Joggie ha continuato a giocare brillantemente per Orange Free State, ma non è mai più stato convocato dagli Springboks.
Ancora oggi però, il suo placcaggio su Wayne è celebrato come uno dei momenti più grandi della storia del rugby sudafricano.
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