Il 4 gennaio 2000 sono arrivato
in Congo, un paese in ricostruzione dopo la guerra civile del 1998 che ha lasciato
molte macerie, povertà ma soprattutto moltissimi mutilati ed orfani.
Ho giocato a rugby per 26 anni (dalle giovani alla serie A) e dopo un primo
periodo di ambientamento mi sono chiesto se esisteva una squadra, o almeno qualcuno
che si allenasse con una palla ovale. Ottenuta qualche informazione, da buon
ex-rugbista mi sono presentato all’allenamento con maglia da gioco, pantaloncini,
scarpette e tutto quello che avevo sempre considerato necessario. E ho trovato
con me pochi ragazzi locali che non avevano niente più di un paio di
pantaloncini o un costume da bagno racimolato chissà dove!?! Mi
vergognavo per quello che avevo e per tutte le volte che non mi sono
reso conto di essere una persona fortunata!
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Cosa fare? La prima cosa è stata quella di prendere le maglie “in
più” che mi ero portato per regalarle, ma non bastavano!!! Mi venne
l’idea di scrivere un articolo
su un sito di rugby e da quel momento, grazie anche ad un reportage di Tele
Più, sono riuscito a distribuire, a questi ragazzi, più di 550
Kg di materiale sportivo.
Tra le tante cose pervenute c’era anche materiale per bambini,
ma non sapevo cosa farne. Così ho convocato, per fare qualche
foto e per poi regalare il tutto, una ventina di bambini presi qua e là.
Quel giorno, senza spere come e per quanto tempo, decisi di iniziare
ad allenarli.
Sono passati ormai parecchi mesi e il gruppo è sempre presente. Sono
solo una quarantina, dagli 8 ai 12 anni, e ne ho dovuti rifiutare più
di un centinaio.
Le spese da sostenere sono parecchie e sono totalmente a mio carico. Mancano
medicinali, se qualcuno si fa male provvedo con le mie risorse a fornire assistenza
ospedaliera (qui nessuno ha la possibilità economica per curarsi), compro
da bere per dissetarli durante l’allenamento, il gelato, qualche volta,
per ripagarli della gioia e dell’affetto che mi dimostrano, pago i taxi
perché vengano riportati a casa.
Tutto questo però non è sufficiente. Mi sono
reso conto che, in Africa, la cosa più importante che posso dare non
è nulla di materiale. Non sono i soldi e, per assurdo non sono i medicinali
e il cibo, anche perché non riuscirei da solo a curare o sfamare l’intero
continente. Quello che, però, posso dare, quello che
ciascuno di noi può offrire con un riscontro oggettivo, sono le emozioni,
l’entusiasmo, la speranza, ma soprattutto il SOGNARE!
Molti di loro non hanno mai visitato la città in cui vivono, non conoscono
i confini del loro paese. Gli aerei li vedono solo volare sopra le loro teste.
Non pensano che possano esistere delle strutture ospedaliere che curino i malati,
che esistano medicinali in abbondanza e a costi accessibili!
Cosa posso fare per aiutarli? Farli sognare… questo sì!!!
Voglio portarli una settimana in Italia, per giocare a rugby. Farli viaggiare
nell’aereo che di solito vedono solo passare sopra le loro teste. Voglio
vestirli tutti uguali, come un vero gruppo sportivo, dar loro delle borse con
il nome della squadra impresso ed esserne fieri. Voglio farli dormire in letti
confortevoli, ma soprattutto voglio regalar loro le sensazioni che solo lo sport
ti può dare. Anche se fosse la sola ed unica volta nella loro vista,
voglio che possano conservare un ricordo che né la fame, né il
dolore, né la morte potranno mai togliere loro! Voglio che, una
volta ritornati in Africa, siano capaci di credere in qualcosa e di lottare
per averla, senza accettare passivamente quello che la vita sta loro offrendo.
Per questo ho bisogno di tutti voi. Se riusciremo a realizzare
questo progetto, potremmo vedere questi bambini correre, insieme ai nostri figli,
con una palla ovale in mano. Spero di non essere il solo idealista illuso…
Paolo Familiari
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