Il Primo Centro – Numero 12 del Rugby – (second five-eighth, first centre, second five)

di Jeremy Guscott – ex centro della nazionale Inglese e dei Lions

Pensate al primo centro come a un mediano di apertura che giochi in mezzo al campo. Non a caso in Nuova Zelanda lo chiamano secondo cinque ottavi: il nome si riferisce all’attitudine del primo centro a occupare una posizione leggermente più arretrata dell’apertura, che nell’emisfero meridionale – secondo le abitudine della Rugby League – è chiamato primo cinque ottavi.

 

La principale differenza fra le due posizioni è data dalla corporatura dei giocatori. I primi centri tendono a essere più massicci e un po’ più veloci dei mediani di apertura. Questo vuol dire che sono in grado di conquistare la palla nei placcaggi più di quanto faccia un normale numero 10. I giocatori di oggi sono meno grassi (e più tonici) poichè il gioco moderno è più esigente dal punto di vista fisico. Ma questo non vuol dire che il primo centro di oggi usi la forza bruta più del cervello.

Quando indossano la maglia numero 12 Mathew Tait o James Hook, due poliedrici interpreti del ruolo (il primo può fare anche l’ala, il secondo il mediano di apertura) non cercano di impattare gli avversari, come fanno normalmente i cosiddetti ball-carrier.

Ma utilizzano al meglio le proprie caratteristiche: per Tait la velocità e la capacità di sgusciare, per Hook una certa genialità tattica e un grande bravura nel gioco al piede. Il modo in cui il primo centro gioca, oltre a dipendere dalle caratteristiche soggettive, è influenzato chiaramente dalla tattica prevista dal coach per quella determinata partita.

Per esempio: analizzate uno dei primi centri più interessanti di questi anni, Andy Farrell. È piuttosto bravo a distribuire la palla, ma non è veloce. In compenso ha fisico, può fare passaggi lunghi, passaggi veloci o tenere la palla resistendo al placcaggio. Inoltre, in fase difensiva è un buon placcatore, grazie a quello che ha imparato nella Rugby League. Un giocatore completo. Eppure, l’ex ct dell’Inghilterra Brian Ashton, che l’ha convocato più volte, vedeva in lui un secondo cinque ottavi, cioè uno che doveva giocare soprattutto la palla con le mani. Fare passaggi lunghi e precisi, oppure corti e veloci, usare il piede, essere buoni ball-carrier e ottimi placcatori: ecco le doti ideali di un numero 12.

 

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