…l’ho vissuto ieri, cari amici, alla fine della partita Sudafrica-Samoa.
Quando
Semo Sititi, carismatico capitano di Manu Samoa, ha chiamato tutti i
giocatori, compagni e avversari, a riunirsi al centro del campo, in
cerchio, abbracciati, le maglie scambiate. A pregare, credo. O a
ringraziare, non lo so.
Non so molto della religione dei
Samoani. Anzi, non ne so nulla. Pero’ posso dirvi che emanano una
spiritualita’ fisica e positiva in tutto quello che fanno. Traspare dai
loro visi gioiosi un rapporto con la natura e coi propri simili sereno,
aperto, luminoso. Come doveva essere quello degli antichi popoli da cui
discendiamo, che veneravano la Dea Potna, Gran Madre Degli Dei, come
fonte di vita e della fecondita’ della natura.
I loro
corpulenti corpi tatuati, le sinuose e seducenti curve adornate di
corone di fiori delle loro donne, hanno un qualcosa di magico e
spirituale. Sanno di pulito.
E’ questa l’impressione che ho
avuto ieri allo stadio, e credo che Semo Sititi, Corne’ Krige e i loro
ragazzi, divisi dalla vita ma uniti dal rugby, ancora una volta,
abbiano dato un’immagine netta e chiara di quello che questo sport puro
significa.
Puro, perche’ e’ stato proprio il capitano della
squadra sconfitta sul campo a promuovere il nobile gesto, nonostante la
delusione della partita e la disillusione per il tramonto del sogno dei
quarti, ai quali in tanti, visto il match contro gli inglesi, credevano.
Puro,
perche’ sotto di 50 punti, i tifosi samoani non hanno mai smesso di
incitare la loro squadra, salvo poi intonare un coro “AllBlacks
AllBlacks” tra le risate di tutti.
Puro, nonostante si tenti di
sporcarlo, come si diceva in list lamentandosi dei comportamenti
antisportivi di tanti tifosi nostrani.
Ma qualche piccola macchia nera su un lenzuolo bianco non fa che aumentarne il candore, no?
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