Scrivere di Gareth Edwards subito dopo Barry John viene quasi spontaneo. I due, infatti, sono divisi giusto da quella breve sezione di campo che separa un mediano d’apertura dal mediano di mischia.
Figlio di minatori, Gareth è nato a Pontardawe, in Galles, sabato 12 luglio del 1947.
Ha vinto una borsa di studio per frequentare la Millfield Public School, dove è stato accolto da Bill Samuels, che l’ha iniziato al gioco del rugby.
Arruolato fra le file del Cardiff, ha ottenuto la ribalta internazionale dopo la partecipazione del suo club al tour in Sud Africa nel 1967.
L’esordio in nazionale è quindi arrivato presto, a 19 anni, il 1 aprile di quello stesso anno, in una partita persa 20 a 14 contro la Francia a Parigi, valida per il Cinque Nazioni.
Da quel giorno, fino all’ultima gara nel 1978, Gareth Edwards ha totalizzato 53 presenze per il Galles, di cui 13 da capitano. Tutti i suoi caps sono stati fatti in successione, un record ancora imbattuto; egli, infatti, non ha mai avuto un calo di forma o un infortunio tale da consentire ad altri di prendere il suo posto sul terreno di gioco.
Giocatore completo, dotato di grande forza fisica, possedeva anche un’intelligenza tattica non comune, tecnica sopraffina, scatto, velocità, un calcio in corsa potente e preciso, nonché un passaggio unico al mondo. Il suo calcio tattico lungo la linea di touche, da dietro il pack, ha portato una ventata di aria fresca nel gioco del mediano di mischia. Con la sua prontezza ed il suo passaggio preciso era in grado di proteggere il proprio compare con il numero 10 (John prima e poi Phil Bennett) regalandogli quell’attimo in più a lui necessario per farlo ragionare e per evitargli l’impatto con le terze linee avversarie.
Nonostante fosse un dilettante si è sempre allenato con la meticolosità di un professionista. Avendo all’inizio un passaggio ritenuto debole, ha speso ore della sua vita ad allenarsi a passare il pallone da fermo. È in questo periodo che, copiando il grande All Black Chris Laidlaw, ha perfezionato il suo Spin pass, un tipo di lancio con l’ovale che si avvita su se stesso acquistando velocità ad ogni spirale. Un’altra innovazione portata dal nostro numero 9 è stata il ‘Reverse pass’, un passaggio effettuato dalla parte opposta rispetto alla posizione assunta per il lancio. Un trucco che ingannava gli avversari e lanciava la sua ala o l’estremo dalla parte chiusa.
Per tutto questo, e non solo, è diventato capitano dei dragoni a 20 anni, il più giovane che il Galles abbia mai avuto; era il febbraio 1968, in una partita vinta 5 a 0 contro la Scozia. In totale è stato capitano per 13 partite.
Sempre nel 1968 ha partecipato al tour dei Lions in Sud Africa, dove è maturato come giocatore, migliorando di molto il suo gioco al piede.
Non è una sorpresa a questo punto che il dominio del Galles negli anni settanta è arrivato nel momento in cui Edwards ha sancito la sua supremazia nel ruolo di mediano di mischia. Con lui alla mediana, come scritto all’inizio dell’articolo, c’era ‘il Re’, Barry John. Insieme i due formavano una coppia stratosferica, che ha regnato per 23 test. Edwards, con il suo servizio preciso e veloce, consentiva al numero 10 di avere tutto il tempo per tessere le sue magie
Nel 1971 Gareth ha fatto la seconda apparizione in un tour dei Lions, facendo parte integrante della squadra che ha battuto i forti All Blacks sul loro terreno. La sua visione di gioco, la potenza, il ritmo da lui impresso, hanno contribuito non poco a rendere epiche le sfide di quel tour fra Rossi e Neri.
Nel 1973 è da ricordare la sfida contro gli All Blacks a Twickenham, con sulle spalle la maglia dei Barbarians. Una gara dove, a detta di molti, egli ha segnato la meta più bella di tutti i tempi: novanta metri di corsa, sei passaggi, ventitré secondi di azione. Lo stesso Gareth la descive così:
"Se fossimo a un programma di quiz, e fermassero l’immagine quando Bennett raccoglie il pallone nei nostri 22, e mi chiedessero: "Adesso che succede?", forse risponderei: "Phil Bennett viene spiaccicato". Questa è una delle ragioni in cui in quel momento urlo a Phil di liberarsi del pallone calciandolo in touche, Io ho già il fiatone, e un attimo di sosta per la touche mi restituirebbe la vita. Ma quando Phil fa esattamente il contrario di quello che io e la maggior parte dei compagni ci aspettiamo, l’azione si incendia. Ricordo i capelli al vento di JPR placcato al collo, ricordo il sostegno di Pullin, ricordo anche di imprecare tranquillamente, fra me e me: "Ma che diavolo vogliono fare adesso?" Mi riferisco ai miei compagni, indemoniati. Ma dalla folla si leva un tuono, come un fiume che straripa, come una valanga che si stacca dalla montagna. Come se giocatori, spettatori e stadio si sollevino da terra. A quel punto mi metto a correre anch’io dietro il pallone. Mi ci vuole un po’ per recuperare i metri perduti. Penso che uno dei nostri sia stato placcato e che io debba trovarmi là, a recuperare il pallone e ad aprirlo al largo. Quando Dawes passa a David, sono costretto a uno sprint. E quella è la chiave. Perché nell’istante in cui ricevo il pallone, sono al massimo della velocità. E’ una specie di intercetto: so che il pallone deve andare a John Bevan. Per questo grido a Quinnell, in gaelico, di darmelo. Mi sento addosso ancora i brividi e l’adrenalina. Ma in quel momento non penso a niente di niente. Mi chiedo solo se i miei tendini possano reggere lo sforzo. Fino al tuffo finale. Mi tuffo perché Bill Samuel, che mi ha insegnato rugby a scuola, diceva sempre che è più difficile fermare chi si tuffa invece di chi corre. E so che c’è qualcuno che mi sta arrivando contro, lo sento, ma non oso guardarlo. Ho paura di svegliarmi da un sogno".
Tutto ciò è dovuto alla sua forza, ma anche al suo desiderio di vincere. Ed è stato proprio questo desiderio che lo vide di nuovo affrontare un tour dei Lions, questa volta in Sud Africa, nel 1974. Anche allora è stato parte integrante del successo della sua squadra, che è tornata in patria imbattuta.
Quello stesso anno Gareth Edwards è stato nominato dalla BBC ‘Personaggio sportivo gallese dell’anno’.
Anche nel 1977 era stato convocato per guidare i Lions nella loro nuova tournèe in Nuova Zelanda, ma lui ha rinunciato per motivi personali.
La sua ultima apparizione risale al 18 marzo del 1978, a Cardiff, in una partita vinta dal Galles sui francesi per 16 a 7, che valse il Grande Slam. In quella gara, a pochi istanti dalla fine, i rossi vincevano 13 a 7, ma stavano subendo il ritorno dei Blues che, con una meta trasformata, avrebbero ribaltato le sorti dell’incontro. Fu allora che Gareth è uscito da una mischia e da una posizione impossibile ha lasciato partire un drop micidiale che ha consentito alla sua squadra di andare oltre il break e di portare a casa la vittoria.
Durante la sua carriera Edwards ha vinto tre Grand Slam, cinque Triple Crown, cinque Campionati in solitaria più altri due in condivisione, segnando 20 mete in 53 incontri. Inoltre ha indossato per dieci volte la maglia dei British Lions.
Nel 1997 è stato fra i primi quindici ex giocatori ad essere introdotto nella International Rugby Hall of Fame, insieme, tra gli altri, agli ex partner Barry John e JPR Williams.
In un sondaggio fatto da giocatori di rugby internazionali, proposto nel 2003 dalla rivista Rugby World, Edwards è stato acclamato come il più grande giocatore di tutti i tempi. Sorprendentemente, Gareth ha ammesso che, secondo lui, il mediano di mischia neozelandese Sid Going gli è stato superiore nei sette incontri in cui si sono confrontati.
Oggi questo straordinario numero 9 è commentatore di rugby per la BBC e per S4C: quest’ultimo è un canale di lingua gallese, la sua lingua madre. In più è anche un manager dei Cardiff Blues.
Una sua statua si trova nel centro commerciale di St David, a Cardiff.
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