Oggi ho letto su Corriere della Sera un bell’articolo su due ragazzi rom che giocano a rugby ad un buon livello. E’ una bella storia, firmata da Valerio Vecchiarelli uno dei primi a iscrivesi alla rugbylist, e mi faceva piacere riportarla anche ai lettori della rugbylist.
Putroppo, l’articolo lancia anche una accusa: i due ragazzi, sebbene talentuosi, non vengono fatti giocare a livelli superiori, per via della loro cultura d’origine.
E’ molto probabile che qualcuno dell’ambiente conosca i fratelli Costantini di persona e possa aggiungere un ricordo o un’interpretazione personale all’articolo.
Ciao
Giovanni Sonego
Rambo e Daniel,
i rom del rugby cercano casa nel Super 10
Brescia, quartiere San Polo, all’ombra dell’inceneritore finito al centro delle cronaca quando c’era da risolvere l’emergenza rifiuti a Napoli. Là Augusto Innocenti anni fa acquistò un pezzo di terra e edificò il suo sogno, una villa stile «Via col vento», con colonne doriche nel patio e statue di gesso disseminate nell’immenso giardino. E là vivono i suoi due nipoti, Rambo e Daniel Costantini, 24 e 22 anni, estremo e mediano di apertura, grandi promesse del rugby italiano, capaci di frequentare a suon di punti, mete e placcaggi, tutte le selezioni giovanili azzurre (dall’Under 15 all’Under 21) prima della frustrazione di dover fare a spallate per trovare un posto in squadra. Tesserati del Calvisano campione d’Italia, Rambo e Daniel in Super 10 non hanno ancora messo piede. Lo scorso campionato lo hanno giocato in serie B, seconda squadra del Calvisano: Rambo ha segnato 28 mete, Daniel 282 punti e insieme sono stati gli eroi della promozione in serie A. Eppure nessuno si è fatto vivo.
Impossibile omettere un particolare: Rambo e Daniel sono dù senghen, come affermano loro in dialetto bresciano, due zingari, rom stanziali, gente che in famiglia parla il romanes e non rinuncia alle tradizioni. Vivono nelle roulotte parcheggiate nel giardino perché «in fondo la casa del nonno è abitata sì e no per un terzo, ma noi siamo abituati così, che male c’è? E poi qui con noi vive solo la famiglia di mamma, in tutto saremo una trentina, non di più…». Sui tetti delle case mobili fanno mostra di sé le parabole: «Certo, perché il rugby oggi si vede solo via satellite e noi non potremmo farne a meno». Vogliono giocare, mettersi alla prova, capire perché sono costretti a pietire un posto per allenarsi in prima squadra. Il dubbio sorge spontaneo e Rambo ha la sua spiegazione: «Il rugby di club ha scelto di affidarsi agli stranieri, magari si va a cercare una trisnonna italiana e si dà fiducia a un giocatore esotico, sconosciuto, che ha solo il merito di essersi fatto le ossa lontano dall’Italia. E per lui sono sempre pronti contratti importanti. Noi alla nostra Italia abbiamo dato molto, ma l’allenatore del Calvisano (il francese Marc Delpoux) ci ha fatto capire chiaramente che per le sue idee non siamo giocatori da Super 10. L’unica cosa che posso pensare è che la nostra origine gli dia fastidio, magari nella sua vita ha avuto qualche problema con i rom e adesso ne paghiamo le conseguenze. Giochiamo da quando avevamo 6 anni e mai abbiamo avuto problemi in squadra, mai un compagno o un avversario che ci abbia fatto pesare la nostra origine. Adesso invece…».
Si allenano come pazzi, campo e palestra, senza dimenticare nonno Augusto, che lo sport lo vede come una perdita di tempo ed è il grande riferimento a cui tutti chiedono consiglio, e magari una moglie quando è arrivato il momento: «E sì, gli zingari non capiscono perché noi dedichiamo tanto tempo al rugby, ma speriamo che il nostro esempio possa contribuire a cambiare una mentalità. Noi due Costantini nel rugby, i nostri cugini Bardelloni nel calcio; uno ha avuto quest’anno un contratto in Eccellenza, l’altro è nelle giovanili del Brescia. Dopo di noi anche i rom potranno dire la loro nello sport». Ride Rambo, che la domenica prima della partita assiste alla funzione che papà Claudio, pastore della Chiesa Evangelica di Brescia, tiene nel tendone tra le roulotte: «Siamo molto religiosi, non beviamo, non fumiamo e preghiamo molto. In fondo questo ci aiuta a essere anche dei bravi sportivi». Vorrebbero giocare, ma sono ingenui, nel rugby del professionismo mai hanno avuto un procuratore, mai si sono allontanati da Brescia. Zingari nella vita, non nei fatti: «Siamo gitani, la nostra storia familiare è particolare: mamma è gitana da sempre, papà è un bresciano doc. Di solito avviene il contrario, è l’uomo rom che sceglie la sua donna lontano. Ma il nonno approvò l’unione e papà cominciò a vivere nelle roulotte».
Al rugby ci sono arrivati perché il grande giardino-residenza è a due passi dallo stadio Invernici e una maestra consigliò loro di provare con la palla ovale: «Fu subito passione e solo dopo aver iniziato a giocare papà ci confidò che da giovane anche lui era stato un discreto rugbista». Giocheranno in serie A ancora un anno, ma l’ambizione non si cancella: «Se fossimo disposti ad allontanarci per andare in una squadra vera? Subito, anche domani. Siamo zingari, no?». E se per il tesseramento dovessero venire a chiedervi le impronte digitali? I due rugbisti ridono, mamma Loredana va su tutte le furie: «Non scherziamo, siamo più bresciani noi di metà della gente che vive qui intorno». Rambo e Daniel chiedono solo una chance: «Non siamo due fenomeni, ma tanti non lo sono». E pregano in silenzio: «Anche prima delle partite. All’inizio nello spogliatoio qualcuno rideva. Adesso, quando l’avversario è forte, i compagni ci chiedono di pregare anche per loro…».
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