Il giorno di Italia-Inghilterra.
FORZA AZZURRI, WE CAN – Che siamo in clima di campagna elettorale l si capisce anche sugli spalti del Flaminio. Pier Ferdinando Casini, altri politici e autorità affollano la tribuna d’onore. In curva campeggia lo striscione "Forza azzurri, we can". Azzeccata sintesi fra il partito di Berlusconi e il motto scelto da Veltroni. Un’anticipazione del futuro bipartitismo del sistema politico?
KAINE E MAURO, WE LOVE YOU – Fra gli altri striscioni più belli due gastronomici "Gruppo bevande Malamocco" e "Degli inglesi famo gnamma gnamma, forza azzurri". Per il bel Robertson la dichiarazione di una fan "Kaine scusa ma ti chiamo amore", che fa il paio con quello visto in tribuna a Dublino: "Sono bresciana, ma amo un Bergamasco: Mauro sposami!".
DENIS LATIN LOVER – In fatto di donne non scherza Denis Dallan, ala del Parma ed ex azzurro, presentatosi in tribuna con Agua, modella mozzafiato francese di colore. E’ la terza fidanzata del genere che cambia in un anno, fedele al motto del suo ex presidente dello Stade Francais, Max Guazzini: «A Parigi l’ho visto giocare poco, ma amare molto!».
ASHTON E ALL RUGBY -Simpatico siparietto pochi minuti prima del match fra il citì inglese Brian Ashton, sistemato con lo staff a fianco della tribuna stampa. Il collega Umberto Piccinini gli ha allungato l’ultimo numero del mensile "All Rugby". Lui l’ha preso e ringraziato con gentilezza, quasi fosse più interessato alla rivista che alla partita. Visto come ha giocato l’Inghilterra, forse faceva meglio a pensare un po’ più alla seconda.
MEZZANOTTE AL DUE MORI – Gianni Sponzi, gestore della storica osteria "Due Mori" vicino al ponto di Rialto, aveva promesso: «Se battiamo l’Inghilterra torno a Venezia, apro l’osteria a mezzanotte e faccio festa fino al mattino». È andata male, per poco. Se battiamo Galles o Scozia la promessa vale ancora?
LO SPIRITO DEGLI ALL BLUFF – Come ad ogni match casalingo del Sei Nazioni banchetto offerto a tutti dagli All Bluff, club di ex giocatori e appassionati, che vogliono mantenere vivo il vero spirito del rugby e del terzo tempo. Peculiarità: ogni associato porta dalla città d’Italia da dove viene un prodotto caratteristico. La tavola imbandita diventa così un simbolo di amicizia.
VIGILI SEVERI – Li hanno imitati un gruppo di romani, con un barbecue vicino al palasport di viale Tiziano, dove c’erano pane di Genzano e vino dei Castelli per tutti. Gli inglesi, circa 10mila quelli stimati a Roma, hanno apprezzato. I vigili urbani, temendo problemi fra tifosi, un po’ meno. Sono arrivati a dare un’occhiata. Ora avranno capito anche loro il vero spirito del rugby.
CONTROLLI? NO GRAZIE – Uno spirito afferrato dal controllore di uno dei treni partiti in mattinata dal Nordest alla volta di Roma. Sono saliti un’ottantina di tifosi, ma nessuna segnalazione alle forze dell’ordine. «Con voi del rugby non ce n’è bisogno, siete tranquilli» è stata la sua risposta. Con i tifosi di quale altro sport ce ne sarà mai bisogno?
TOTEM AZZURRI – All’uscita dalla stazione Termini di Roma appassionati accolti da giganteschi Totem della Peroni con immagini di Bortolami, Parisse e degli altri azzurri, corredate da frasi ad effetto sul rugby. Forte l’impatto, potere degli sponsor…
BIGLIETTI, MAI DISPERARE – Erano esauriti due ore dopo la messa in vendita su internet, ma alla Monti Rovigo ne sono stati offerti dalla Fir quaranta una settimana prima del match. Genitori e mini-rugbisti ieri mattina sono partiti festanti. (im)
A quattro punti dal sogno. Le speranze …
A quattro punti dal sogno. Le speranze dell’Italia si infrangono lì. Battere l’Inghilterra resta un tabù, ma gli azzurri in 17 anni di battaglie contro i maestri del rugby non ci erano mai andati così vicino. Bastava una meta in più, parsa alla portata nei palpitanti minuti finali. Peccato, resta il rimpianto, perchè le onorevoli sconfitte non fanno storia.
Non è stata una bella partita. Di quelle che fanno spellare le mani per virtuosismi tecnici, o sensazione di potenza delle due squadre. Tutte e tre le mete sono venute su grossolani errori degli avversari. Basta questo per misurarne il livello. Però è stato uno di quei match che riscattano tutto nei 5′ finali. Concentrando le emozioni e, in questo caso, le ambizioni di vittoria azzurre che nei 75′ precedenti erano state soffocate.
Minuto 35′, l’Italia è sotto 23-12. Sta gestendo una buona superiorità di possesso: 24′ a 18′ in tutto l’incontro, il doppio dei rivali nella ripresa. Idem per l’occupazione: 50′ a 38′, ma sempre di cattiva qualità, ovvero lontano dall’area dei 22 metri. Macina fasi su fasi senza avanzamento. Spostandosi a fisarmonica da un lato all’altro del campo, senza trovare il break. Solo due volte sembra "bucare". Ma una francesina (fatta dagli inglesi!) beffarda, il gesto più simile al concetto di Davide e Golia nel placcaggio, spegne la corsa dell’attaccante. Al 29′ la subisce Alberto Sgarbi, debuttante, dopo splendido incrocio con Masi. Lo schiaffetto è dell’astro nascente Danny Cipriani, appena entrato. Al 30′ è Kaine Robertson, lanciato sull’out, cadere sul tocco di Jamie Noon.
Quando ogni attacco sembra destinato a infrangersi, l’erede un po’ spocchioso di Jonny Wilkinson combina la sua. Si fa stoppare da Simon Picone un goffo calcetto a scavalcare e il mediano di mischia azzurro fila in mezzo ai pali. Tripudio e cori fra i 30mila del Flaminio, tutto esaurito. Terrore negli occhi degli inglesi, alle corde fisicamente e già una settimana prima ko con il Galles a causa di un’incredibile rimonta. Energie moltiplicate fra gli italiani, che tornano all’assalto e conquistano la metà campo rivale. Due buone touche consecutive, però, sono perse su lancio di un Festuccia incerto, subentrato a Ghiraldini. E qui muoiono le speranze dell’Italia. Il parziale di 13-3 nella ripresa non serve a realizzare il sogno.
Prima il match è controllato da un’Inghilterra mai così in difficoltà con gli azzurri, ma campione di sano realismo. L’ultimo infortunio di una lunga serie (capitan Vickery dato nel XV dà forfait in mattinata) non mina le certezze. La mischia senza i due piloni titolari dovrebbe cedere di fronte alla super prima linea azzurra, invece la mette in difficoltà. La touche ruba (5 in tutto) o sporca tutto, penalizzando la conquista. E non a caso già al 3′ una rimessa laterale rubata a fondo schieramento da Lipman aziona il micidiale piede di Wilkinson. Calcetto a scavalcare per se stesso, palla a Sackey quando è placcato, due contro zero a largo e meta (7-0).
Il vituperato David Bortolussi, oggi 100% al piede ma da brividi quando ha la palla in mano, e la grande fallosità degli inglesi (10 penalty concessi a 6) ci tengono a galla. Fallo a terra di Regan, tenuto di Vainikolo, tutt’altro che "vulcanico" a dispetto del suo soprannome, ed è 7-6. Ma è lo stesso Bortolussi a gettare gli azzurri nella costernazione quando al 15′ si fa stoppare (anche lui, 1-1 con Cipriani) un calcetto a seguire da Noon. Palla a Wilkinson oltre la linea del vantaggio, poi a Flood che corre in orizzontale per evitare il disperato tentativo di Masi e meta (14-6). Con suggello di Wilkinson, che con la trasformazione tocca il record dei 1000 punti in maglia inglese (alla fine saranno 1009). Sommati a quelli dei Lions fanno 1076. Davanti nella storia dei migliori marcatori ora ha solo ha solo Neil Jenkins (1090), ormai nel mirino.
Davvero "divino". Come il suo piede. Che continua a punire gli azzurri per crollo di Del Fava in maul (31′) e fallo di Castrogiovanni in mischia (37′). Quella che doveva essere uno dei nostri punti di forza.
Il destino all’intervallo sembra segnato. Ma questa non è un’Inghilterra capace di uccidere le partite. Così l’Italia risale la china a suon di calci, punendo due simili falli degli inglesi (al 3′ in mischia, al 13′ su maul). Ancora del Fava non rotola via da ruck nei 22 metri (19′) e poi inizia il monologo d’attacco azzurro, sostenuto dai nuovi entrati che danno ritmo. Apparentemente è sterile. Fino a quando lo sprazzo di Picone infiamma lo stadio. E lo fa bruciare di passione, che si spegne solo a 4 punti dal sogno.
Ivan Malfatto
Una squadra senza regia
La scommessa di Mallett
(A. Liviero)
Ancora una rimonta incompiuta. A Roma come sette giorni prima a Dublino. Ancora una sconfitta di stretta misura. All’Italia di Mallett, come a quella di Berbizier, manca sempre una meta per spuntarla. I problemi sono soprattutto nella direzione del gioco. La scommessa del citì non riguarda però Masi nell’inedito ruolo di mediano d’apertura, quanto la possibilità che una squadra possa giocare senza un’apertura. Rinunciando cioè al regista. Eresia? Mallett è un pragmatico. Parte da una presa d’atto: l’Italia non dispone per ora di un numero dieci di livello internazionale. Quindi ha deciso di farne a meno. Ha riadattato la formula dei tre centri lanciata dal predecessore, avanzando il roccioso trequarti aquilano a formare il vertice superiore del triangolo interno della linea arretrata. Ma di fatto più che da regista agisce da primo attaccante, da semplice innesco offensivo.
Una scelta che presenta limiti evidenti. Innanzitutto nella lettura del gioco che richiede oltre all’attitudine di base, un lungo affinamento. E poi nei calci tattici, fondamentali per occupare il campo avversario, aprire difese sempre più serrate, avanzare risparmiando energie e avvicinarsi il più possibile all’area di meta. Masi non ha un piede da apertura. Possiede in virtù del suo passato da estremo, un calcio robusto ma che va sgrezzato e reso più preciso per non regalare palloni al contrattacco. Inoltre aprendo sistematicamente alla mano per non rischiare con i piedi, finisce col rendere il movimento del tutto prevedibile.
Problemi che non sfuggono a Mallett, il quale è obbligato a fare di necessità virtù, inseguendo soluzioni alternative per ora solo abbozzate, guardando più che ai limiti alle opportunità offerte della nuova posizione di Masi. La più importante riguarda la copertura del corridoio interno che pochi garantiscono come il "Trematerra" del Biarritz: forte fisicamente, aggressivo, con un placcaggio duro. Ciò ha rafforzato la difesa (tre mete incassate in due partite), che è un fattore base, assieme alla conquista, nella costruzione di una squadra. Ma la soluzione Masi potrebbe offrire anche inedite opzioni in mezzo alla linea d’attacco con combinazioni costruite con tre centri. Un’altra carta potrebbe essere la penetrazione diretta del numero dieci, sfruttando la sua forza esplosiva, in quella zona fragile di ogni sistema di opposizione, quella della cerniera mediana. Così come sarà da verificare la capacità dell’aquilano di resistere in piedi ai placcaggi per impostare dei mini-maul rapidi in pieno campo, per assorbire avversari e trasformare l’azione all’esterno. Schema che Mallett ha già applicato con successo allo Stade Français.
Più in generale si tratterà di organizzare un sistema di gioco che possa prescindere da Masi in termini di scelte strategiche. Non dico una regia collettiva, ma allargata. Aumentando al più presto le opzioni tattiche al piede. Aspettando la maturazione di Travagli, che deve migliorare la precisione, ma anche facendo usare i piedi sulla corta distanza ai centri. Soprattutto provando ad avanzare all’occorrenza Bortolussi. L’estremo francese con origini friulane, certo non è immune da errori. Però è sufficientemente freddo da realizzare, come ieri, il 100% dalla piazzola e possiede di gran lunga il piede migliore della squadra. La grossa incognita dell’Italia, se vuole una vittoria, sta proprio nel gioco al piede e nell’occupazione del campo. È qui che il citì deve trovare la chiave.
Battere gli inglesi? Non manca molto
(Ro.Ro.) Dino Zoff, avversario del citì Mallett in una sfida golfistica di qualche giorno fa, ha visto in tv Italia-Inghilterra. «La squadra azzurra che ha lottato fino alla fine per la vittoria contro una formazione molto forte che è vice campione del mondo. Credo che ormai manchi davvero poco all’Italia per riuscire a vincere partite di questo livello. Ci siamo quasi. Basta continuare su questa strada e sono certo che arriveranno i risultati che ci si aspetta dal gruppo. Ho conosciuto Mallett. Mi sembra in gamba. Con lui l’Italia può ancora migliorare».
IL PROTAGONISTA Il mediano di mischia: «Ho visto che la palla andava a verso di lui e mi sono fiondato sul suo piede di calcio»
Picone stoppa il calcio e umilia la star Cipriani
Roma
NOSTRO INVIATO
(im) Danny Cipriani, il nuovo Golden Boy del rugby inglese, non se ne fa un cruccio. Ha l’aria strafottente. Già da star ad appena vent’anni. L’esatto contrario dell’umiltà di Jonny Wilkinson del quale deve prendere l’eredità. E giustifica così il suo errore madornale in partita: «Ho seguito l’istinto di giocare e il mio calcio è stato stoppato. Conta la prima cosa, non la seconda». Punto e basta. Un bel caratterino, non c’è che dire, per il futuro mediano d’apertura dell’Inghilterra.
Dall’altra parte il meno predestinato Simon Picone, 25 anni, mediano di mischia del Benetton Treviso, infortuni a raffica e finora solo 12 caps azzurri, è al settimo cielo: «Questa meta è il momento più bello della mia carriera in Nazionale. Completamente diverso, ma
paragonabile come gioia solo a uno scudetto vinto con Treviso». L’"intercetto" su Cipriani poteva davvero cambiare le sorti della partita. Sentire dalla sua voce che non è stato casuale, ma frutto di una precisa volontà tecnica, lo riempie ancora più di significati.
«Ho capito che gli inglesi aprivano su Cipriani – racconta Picone – e sono andato d’anticipo sul suo piede di calcio. Questione di secondi, mi è andata bene. Non è stata fortuna, ma voglia di provarci. La fortuna c’è stata sul rimbalzo del pallone, che sempre in questo tipo di azioni. L’ho preso al volo dopo il primo tocco a terra e sono filato via. Mi sono guardato indietro, per vedere se c’erano rivali o sostegno, mi sono accorto che potevo farcela e sono andato fino in fondo».
Picone è partito dalla panchina e sostituito poco prima dell’ora di gioco Pietro Travagli. Un cambio frutto anche questo di una strategia. «Era una sostituzione prevista – spiega Simon – Sto recuperando da un infortunio e ho 20′ nelle gambe. Con il Galles spero siano già 30′ o di più. Il citì Mallett mi ha chiesto nell’ultimo quarto di dare più ritmo alle azioni e far giocare la squadra, per mettere in difficoltà la più stanca difesa rivale». E lui c’è riuscito. Ora potrebbe soffiare il posto da titolare al compagno. «Ormai nel rugby moderno – chiude- si gioca in 22, non in 15. La squadra più forte è quella che ha i ricambi migliori, in grado di dare la svolta alla partita. Non esiste più titolare o riserva, ma la specificità dei ruoli».
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