Rugbisti gallesi arrestati per furto e violenza
Un pilone del Newport Gwent Dragons aveva in tasca un cellulare rubato ad un trevigiano. Oggi il processo
Sono stati gli effetti del tradizionale terzo tempo oppure l’aver
vinto per due soli punti, segnati proprio sul finire del match: sta di
fatto che il match ha dato alla testa a due giocatori del Newport
Gwent Dragons. Il 33-35 finale ha messo tanta birra in corpo –
sicuramente troppa – a Rhys Thomas, pilone, e a Rhodri Gomer – Davies,
centro, ambedue venticinquenni. Il primo è nato in Sudafrica, il
secondo in Galles, ma ambedue sono cittadini della Gran Bretagna. I
due sono stati faticosamente arrestati la scorsa notte intorno alle
2,30 nel parcheggio dell’Havana Club in via Fonderia. Per bloccarli
sono dovute intervenire due pattuglie della Questura. Il tutto ha
preso il via ad un normale passaggio di controllo di una Volante nella
zona della celebre discoteca, uno dei punti di riferimento della notte
trevigiana. L’attenzione della pattuglia è stata attirata
dall’atteggiamento di due giovani; così si è fermata, ha chiesto i
documenti. E la situazione si è subito fatta incandescente. Mentre i
due giocatori dei Dragons gallesi stavano per essere controllati un
giovane trevigiano è intervenuto chiedendo ai poliziotti di verificare
se uno dei due aveva con sè il suo cellulare. Accusando dell’impresa
il pilone Rhys Thomas. Il test verità è stato fatto immediatamente. Il
numero? E mentre il trevigiano lo diceva l’agente lo ha composto.
Dalle tasche del giocatore è fuoriuscito un concerto di squilli.
Conseguente la decisione di arrestare il giocatore in possesso del
telefonino rubato e il suo compagno di squadra. I due però – non è
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noto se fossero in preda ad euforia alcolica – si sono opposti
all’arresto usando la forza, offendendo gli agenti con una raffica di
parolacce che fanno il bagaglio di epiteti di mezzo mondo. Non c’è
stato bisogno di vocabolario per capire che cosa volessero dire. Vista
la stazza dei giocatori – il pilone è alto 185 centimetri, mentre il
centro vanta solo 1 metro e 77 di ossa e muscoli – la Volante ha
chiesto rinforzi alla Centrale. Sul posto così è giunta anche una
seconda pattuglia. Nonostante il numero, gli agenti hanno faticato non
poco a caricare in auto i due atleti che se la sono pure presa con gli
automezzi, danneggiandoli prima di finire prima in Questura poi a
Santa Bona. Questa mattina Rhys Thomas e Rhodris Gomar – Davies
saranno processati per direttissima in Tribunale.
Sergio Zanellato
Premi per gli italiani, i club bocciano il progetto
Simionato: «Il provvedimento zoppica». Badocchi: «Con quei soldi la Fir faccia il contratto ai 30 migliori giovani»
Condivisibile l’obiettivo, impraticabile il percorso. I club veneti
del Groupama Super 10 la pensano così. E bocciano il "Progetto
Italia". Appena varato dalla Fir per distribuire incentivi economici
alle squadre che dal torneo 2008/09 utilizzeranno più italiani. Nello
specifico: 50 mila euro a chi inserirà per tutta la stagione 13
giocatori nella lista dei 22, 100 a chi ne utilizzerà 14, 150mila a
chi raggiungerà il record di 15.
«Sono il primo ad applaudire ogni tentativo di far giocare più
italiani – confessa il ds del Casinò di Venezia Giancarlo Simionato –
ma il provvedimento federale zoppica da tutte le parti. Chi lotta per
vincere il torneo, come Treviso e Calvisano, ha bisogno di qualità per
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alzare il livello. Andrà come sempre a prendersela all’estero e di
quei 50mila euro non se ne farà nulla. Chi si deve salvare come noi
idem. Cosa me ne faccio di 50mila euro, se poi ce ne rimetto di più
retrocedendo?».
«Il principio è buono, il metodo è discutibile – gli fa eco Stefano
Badocchi, presidente della FemiCz Rovigo – Non si raggiungerà
l’obiettivo perché gli italiani buoni per fare il 13., 14. e 15.
giocatore sono già tutti nelle tre grandi squadre e nessuno riuscirà a
portarli via. Così addio qualità». «L’intento è apprezzabile, ma
contraddittorio – è l’idea di Fulvio Lorigiola, leader del Carrera
Padova – Da un lato ti chiedono di mettere più italiani in squadra e
ti pagano per farlo. Dall’altro ti chiedono di dare spettacolo ed
essere competitivo in Europa, dove queste limitazioni non ci sono, e
sei costretto a prendere stranieri. Oppure fanno regole per cui
diventano di formazione italiana gli stranieri che hanno giocato una
volta in Nazionale».
Lapidario il commento di Vittorio Munari, dg del Benetton: «A noi
nessuno ha chiesto niente sull’adozione della norma. L’avranno fatta
per fare il meglio per il rugby, che la spieghino loro».
Quindi nessun coinvolgimento dei club. I vertici federali hanno
partorito un’idea innovativa (la prima del genere in grandi sport di
squadra) senza ascoltare le istanze della base. Quali sono allora le
proposte delle società venete per aumentare l’impiego dei rugbisti di
formazione (vera) italiana? «La Fir – spiega Badocchi – dovrebbe
mettere sotto contratto i 30 giovani più promettenti di Accademia,
serie A, Italia u21 e distribuirli nei 6 club esclusi dai play-off.
Come? Facendo scegliere per prima l’ultima classificata e poi
risalendo, stile basket americano. Così si rinforzerebbero le deboli,
i giovani giocherebbero davvero e la federazione conserverebbe il loro
cartellino».
«Il modello dello sport professionistico americano è azzeccato conferma Simionato – La Fir deve imporre una distribuzione dei
migliori giovani, che ora sono tutti nelle big, spesso
sottoutilizzati. Ma non basta. Servono paletti per evitare che gli
azzurri vadano all’estero, come succede negli altri Paesi. Bisogna
investire nei quadri tecnici e nei vivai, come si è iniziato a fare
con le Accademie». Il vivaio è da sempre il cuore dell’attività del
Petrarca. «Sarebbe giusto che la Fir premiasse il nostro sforzo per
produrre italiani nei settori giovanili. Dovrebbe aiutarci nel
reclutamento – conclude Lorigola – Ai 50mila euro di incentivo per il
13. italiano non siamo interessati. Anzi, riteniamo assurdo l’obbligo
dei 12 in lista».
Ivan Malfatto
La stagione difficile del gioco alla mano
Il gioco alla mano è in crisi. Le partite di alto livello della Coppa
del mondo hanno assegnato un ruolo marginale ai lanci e alle
trasformazioni dell’attacco sull’asse laterale. Che si tratti di un
dato legato all’importanza della competizione o piuttosto di una
tendenza generale, saranno i prossimi tornei internazionali a dirlo.
Intanto siamo tornati da Parigi senza più il romantico conforto delle
mete in prima fase, che nelle ultime stagioni avevano rappresentato
una specie di riserva indiana del rugby di passaggi. Da fase statica,
con otto avversari incollati alla mischia o allo schieramento di
touche, c’era ancora lo spazio per muovere le difese, pur ben
piazzate, con esche e qualche combinazione a sorpresa. Una giocata
lampo, un cippirimerlo, una magia a volte consentivano di passare
direttamente. In altri casi producevano uno squilibrio che veniva poi
sfruttato in seconda fase ed eventualmente dopo un altro
raggruppamento. Sequenze brevi che si avvalevano di velocità di
esecuzione e soprattutto di una elevatissima qualità nella conquista.
Ma in Francia, dai quarti di finale in avanti, una sola meta è stata
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realizzata in prima fase (da mischia ordinata) e appena il 20% delle
marcature entro la terza. Tra le possibili spiegazioni, oltre alle
difficoltà nel creare opzioni sempre nuove e nell’adattare il gioco, i
minori squilibri immediati prodotti nei settori della conquista. Le
difese non si sono fatte destabilizzare tanto nettamente in mischia e
touche, anzi hanno ripreso a inquinare alla fonte le costruzioni
offensive. La morale tattica è fin troppo semplice: difficile
attaccare quando non si hanno palloni buoni.
Per contro se le sequenze brevi piangono quelle lunghe non sono
tornate a ridere. Hanno fruttato il 25% delle mete nella seconda
parte del mondiale e appena il 13% delle punizioni piazzabili. La
loro prevedibilità è ormai assodata tanto che sono sempre di più le
difese in grado di fronteggiare con disciplina (ma non vale per il
campionato italiano) una lunga conservazione, anche ben oltre gli 8-10
raggruppamenti e il minuto di durata. Riuscendo puntualmente a
rallentare la liberazione della palla. Va osservato però che le
sequenze lunghe non sono automaticamente associabili al gioco di
passaggi. Spesso riproducono estenuanti pick and go, azioni a zero
passaggi o al massimo a un passaggio, interrotte da una tempesta di
placcaggi e di punti d’incontro.La forma di attacco più efficace è
stata, non sembri un paradosso, la difesa. Da palloni di recupero
gestiti in genere con una o due fasi, o da intercetti, è maturato il
45% delle mete. Sono ormai quasi le uniche situazioni in cui è
possibile attaccare di fronte a opposizioni malmesse o addirittura
inesistenti. Il maul conferma la sua efficacia (strategica per il
Sudafrica) con il 10% delle segnature e il 14,5% dei penalty
piazzabili. Se si somma questa percentuale a quella delle segnature su
intercetto, il totale delle mete a zero passaggi è del 25%, sempre in
riferimento alla seconda parte della World Cup. Si segnala poi un 15% di marcature su assist al piede.
Un quadro dal quale emerge, oltre alla priorità assoluta della difesa
anche per segnare, il persistere dell’opzione tattica della semplicità
offensiva in alternativa alle costruzioni più complesse. Il maul
penetrante, gli intercetti, il gioco al piede, offrono una pluralità
di mezzi che possono bastare all’ingegno di squadre prive delle
abilità necessarie per un rugby più ambizioso e completo.
Il dg dei biancoverdi dopo la partita contro i Dragons: «Ci speravamo, ma per colmare il gap con l’Europa a noi deve andare tutto bene e a loro tutto storto»
Munari: «Per vincere dobbiamo placcare di più»
Sabato il Benetton a Newport: «Nella squadra c’è voglia di rivalsa». Frecciata ai tifosi: «Bella cornice, ma tiepida»
Treviso
NOSTRO SERVIZIO
Il Benetton è andato ad un passo dal successo contro i Dragons gallesi nel terzo turno della Heineken Cup. Partita strana, dai due volti.
Primo tempo di marca gallese, ripresa quasi tutta trevigiana, col
Benetton abile e forte nel riuscire a recuperare i 19 punti di scarto
che ad un certo momento si erano creati tanto da portarsi anche in
vantaggio a 15′ dalla fine. Poi, l’ultimo drop ospite ha spezzato ogni
speranza. «Ci speravamo tutti ammette Vittorio Munari, dg del Benetton
ma dobbiamo analizzare le cose con serenità. Impegno e volontà non
sono mancati, purtroppo queste sono gare quasi impossibili e nelle
quali per colmare il gap esistente bisogna che a noi vada tutto bene e
a loro tutto storto».
Cosa è mancato per vincere?
«Bisogna considerare alcuni fattori. Dopo 6′ abbiamo perso il pilone
destro titolare, Costanzo. In quel ruolo ha dovuto giocare un pilone
sinistro. Dall’altra parte c’era un pilone che giocava col naso
fratturato. Ben sappiamo quanto sia importante la prima linea nel
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rugby e giocare con questi presupposti non è stato facile. Poi, è
vero, abbiamo giocato un primo tempo sottotono durante il quale
abbiamo commesso molti errori, dovevamo placcare di più, quando c’è da
fermare il portatore di palla bisogna farlo. Ma non è facile passare
dai 50 punti rifilati al Gran Parma in Campionato a queste sfide
europee. Il panorama italiano e quello europeo di vertice sono due
cose ben diverse, oltretutto la nostra squadra ha cambiato tanto,
assemblare questi giocatori non lo si può fare in alcuni giorni, ma
essere a questo livello in questo momento della stagione mi rende
tranquillo. Bisogna avere pazienza ed essere realisti».
Cioè?
«Qualcuno vorrebbe vedere Davide, magari senza fionda, mettere le dita
sotto al naso di Golia in ogni momento ma far capire certe cose a
queste persone è difficile e mi vien da pensare che forse è più facile
mettere i calzini ad un folpo».
Sabato a Newport si rigioca. Quante speranze ha il Benetton?
«E’ presto per parlarne anche perché bisognerà valutare con quale
logorio andremo in Galles. Sabato, a fine partita, in spogliatoio
c’era un clima di rivalsa e questo è senz’altro positivo».
Stadio di Monigo piuttosto gremito, la Coppa Europa è sempre un grande
richiamo…
«C’era una bella cornice, è vero, purtroppo manca dell’altro. Sono
buono quando definisco tiepido il pubblico di Treviso. Ognuno fa quel
che vuole, ma in certi campi la situazione è diversa, il pubblico sta
vicino alla squadra, la incita in ogni momento, a Treviso invece
conclude Munari ci si scontra spesso con tante amarezze».
Ennio Grosso
EUROCOPPE
Finiscono al giro di boa le speranze europee del Benetton che con
Viadana, Ulster, Harlequins, Llanelli ed Edinburgh possono già
salutare la Heineken Cup.
Nel Challenge vince l’Overmach con mete di Pavan, Travagli e Fontana mentre il Petrarca (meta Lorenzetti e 8 punti Mercier) cede alla precisione di David Bortolussi (14 punti). Nel Castres vittorioso col Dax meta di Canavosio. Nelle due trasferte inglesi crollo verticale per il GrAN ed il Calvisano.
Heineken Cup (3° turno)
Gruppo 1: si spengono a otto minuti dal termine i sogni del Benetton contro i Gwent Dragons. Un drop di Sweeney permette il sorpasso finale agli uomini di Turner, dopo che ad inizio ripresa i trevigiani erano riusciti a recuperare un passivo di 19 punti e portarsi avanti 33-32 con mete di Borges, Sgarbi e De Gregori e 18 punti di Goosen.
Gruppo 4: crolla Viadana sotto 10
mete dei Saracens di Ongaro (80′), di Howarth i punti dei mantovani:
Saracens (11)-Viadana (1) 71-7, Glasgow (10)-Biarritz (9) 9-6.
Gruppo 5: prezioso successo del Clermont con i Wasps: mete di Malzieu, Ledesma e Rougerie. Canale è uscito al 32′ per un colpo alla coscia sinistra. Il Munster con 19 punti di O’Gara espugna lo Stradey Park: Clermont (9)-Wasps (9) 37-27, Llanelli (0)-Munster (10) 16-29.
Gruppo 6: rimangono in corsa i Tigers di Castrogiovanni (entrato al 52′) che nel fango superano i tolosani grazie ai calci di Goode ed alla meta di Smith: Leinster (8)-Edinburgh (1) 28-14, Leicester (9)-S.Toulousain (10) 14-9.
Giampaolo Tassinari
European Challenge Cup – 3° turno.
Gruppo 1: Albi (6)-Bath (13) 18-26; Overmach Parma (5)-Auch (6) 25-20.
Gruppo 2: Bucuresti (6)-Montauban (6) 19-17; Worcester (14)-GrAN Parma (2) 50-0.
Gruppo 3: Connacht (9)-Newcastle (10) 16-13; Brive (10)-El Salvador (0) 71-0.
Gruppo 4: Petrarca (1)-Montpellier (8) 13-19; Bayonne (6)-Sale (15) 12-51.
Gruppo 5: Castres (9)-Dax (1) 25-15; Leeds Carnegie (14)-Calvisano (5) 45-5
Slitta al 22 gennaio la nomina del citì del Sudafrica: una scelta incerta tra cambiamento razziale (tre coloured in lizza) e l’esperienza internazionale
Molti Springboks in sostegno alla candidatura di Meyer
Per gli appassionati di rugby sudafricani quest’anno giungerà
posticipato il regalo di Santa Claus vestito da Springbok. La nomina
del nuovo head coach della nazionale è stato spostata al 22 gennaio
prossimo quando tutti e quattro i pretendenti all’ambito posto saranno
stati ascoltati dal comitato guidato dal vicepresidente della Saru,
Makhenkesi Stofile.
E questa volta la scelta potrebbe davvero cadere su di un tecnico
non-bianco visto che tre candidati sono coloured: Allister Coetzee,
Pieter de Villiers e Chester Williams mentre l’ultimo papabile per
l’incarico è un bianco, Heyneke Meyer, il coach dei Blue Bulls che ha
guidato alla vittoria nel Super14 di quest’anno.Non sarà quindi per
nulla una decisione da prendere a cuor leggero quella che attende i
massimi dirigenti sudafricani: da una parte si invoca il grande
cambiamento razziale mentre dall’altra appare evidente che per
esperienza internazionale il più accreditato sostituto del partente
Jake White è Meyer al quale manca solo l’incarico di head coach dei
Boks per culminare un percorso professionale che ha visto un crescendo
inarrestabile di successi negli ultimi sei anni. Meyer ha già dato le
dimissioni dai Blue Bulls, dove è arrivato Frans Ludeke, ed in Sud
Africa c’è chi giura che per essersene andato da Pretoria debba avere
ricevuto precise garanzie di nomina dalla Saru. Quest’ultima, a scanso
di figuracce ed ingenti perdite commerciali, a giorni vorrebbe
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nuovamente mettere sotto contratto i nazionali campioni del mondo
prima quindi di scegliere il nuovo tecnico, ma la maggioranza dei
giocatori ha già fatto sapere a Stofile che al momento non firmeranno
nulla e che torneranno in casacca Springbok solo nel caso in cui sia
Meyer il prescelto.
E mentre la candidatura di Allister Coetzee è stata apertamente
sostenuta da Jake White che vede in lui «la continuazione di quanto
fatto insieme negli ultimi quattro anni», nessuna voce particolare ha
spezzato lance in favore di Pieter de Villiers (attuale Ct dei Boks
Under 23) e Chester Williams.
Inoltre la federazione deve appianare il crescente problema del
manager: l’attuale black Zola Yeye anche nel recente tour in
Inghilterra ha avuto alcuni pesanti diverbi con i giocatori che, con
Juan Smith in testa, hanno difeso Bryan Habana circa un ritardo di
quest’ultimo ad un appuntamento del gruppo Bok ad una cerimonia
ufficiale. Gli stessi giocatori chiedono la testa di Yeye accusato
anche di parlare apposta con loro solo in lingua Xhosa, così come un
anno fa ne chiese inutilmente la rimozione Jake White che avrebbe
preferito come manager Naas Botha.
Giampaolo Tassinari
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