Pumas da finale, via il tecnico del Galles, Little addio
(im) L’Argentina battendo 30-15 anche l’Irlanda e infilando la parte di tabellone a eliminazione diretta meno dura (Scozia e poi forse Australia) può sognare addirittura la finale. Il Galles, paese rugbistico in lutto dopo la clamorosa eliminazione a opera delle Figi, ha cacciato ieri il ct Gathin Jenkins, che aveva un contratto fino al Sei Nazioni 2008. Nicky Little, apertura dei figiani, dice addio al Mondiale per una grave distorsione al ginocchio: c’è il rischio che salti addirittura l’intera stagione, così il Carrera Petrarca per il campionato sarebbe costretto a trovarsi un’altra apertura. Pesante tegola per i padovani.
Sono le tre notizie principali uscite ieri dalla Coppa del Mondo, che ha finito la fase a gironi e si è allineata ai quarti di finale. Ecco gli accoppiamenti: sabato alle 15 a Marsiglia Australia-Inghilterra, alle 21 a Cardiff Nuova Zelanda-Francia; domenica alle 15 a Marsiglia Sudafrica-Figi, alle 21 a Parigi Argentina-Scozia. Ce ne sono un paio da brividi. Australia-Inghilterra è la rivincita dell’ultima finale, conclusa con l’ormai leggendario drop di Wilkinson. Il pronostico stavolta dice Wallabies (perso Lyons per frattura al perone), ma con "Jonny Go" in forma (16 punti e calcetto magistrale per la meta di Sackey contro Tonga) tutto diventa possibile. All Blacks-Francia è la finale anticipata, quella per la quale era stato costruito il calendario del Mondiale. Chiunque sarà eliminato produrrà uno choc. Colpa (anzi, merito) dell’Argentina, che conferma il ruolo di grande outsider. Ora può addirittura sognare di giungere in finale.
Ieri i Pumas battendo l’Irlanda al termine di una splendida partita hanno incassato le prime due mete del torneo (erano gli unici immacolati), ma hanno confermato il loro valore. A segno la futura ala del Benetton Lucas Borges, Agulla, più al piede Felipe Contepomi (3 calci, 1 trasformazione) e il superlativo Hernandez (3 drop). Per l’Irlanda mete di Murphy, O’Driscoll, 5 punti al piede di O’Gara e mesto addio alla rassegna. Della squadra che ha perso per differenza punti il Sei Nazioni (con meta decisiva dei francesi contro la Scozia all’ultimo secondo) non c’è stata ombra al Mondiale.
Mondiale che conferma il dominio dell’emisfero Sud (5 squadre a 3) e la presenza di nessuna nuova nazione ai quarti di finale rispetto alle 12 delle precedenti edizioni. Vent’anni dopo ci tornano le Figi, otto anni dopo l’Argentina. L’unica novità poteva essere l’Italia, invece…
Touche senza qualità maul e piede latitanti
Un’Italia generosa ma senza grande qualità tecnica esce, come d’abitudine, dalla Coppa del mondo. Le lacrime copiose di Troncon e compagni, testimoniano della dedizione, della rabbia agonistica, della volontà di cambiare il corso della storia, di raggiungere per la prima volta in 20 anni i quarti di finale. È un pianto diverso da quello dei gallesi, scaraventati fuori dalle Figi, che devono affrontare l’onta di u lutto nazionale. Ma preso atto del fenomeno di costume, dell’umanità che si ostina a trapelare dai Rambo del rugby di oggi, è del cervello, il muscolo più importante, per dirla alla Berbizier, che bisogna occuparsi, se si vuole cercare di comprendere il motivo della frustrante delusione di Saint-Etienne.
Dopo la partita contro il Portogallo è stata certamente fatta una importante correzione tattica. Una scelta risultata provvidenziale alla luce delle condizioni climatiche in cui si è giocato, con gli azzurri in palese disagio sia nel controllo del pallone che nell’equilibrio sugli appoggi. E che è servita a tenerci sempre in partita con la Scozia. Purtroppo non basta giocare a tavolino, altrimenti, con uno come Berbizier, saremmo campioni del mondo. È stato invece l’adattamento alla partita reale, quella che i francesi chiamano intelligenza situazionale, che è mancata ancora una volta.
Gli azzurri sono andati baldanzosi alla crociata contro gli Highlanders. Con il cuore gonfio di passione. Ma sono stati respinti da una Scozia fredda come il boia. Parks ci ha tenuti con precisione e metodicità a ridosso della nostra area dei 22 metri. I suoi avanti sono andati a colpi di scalpello sui punti di incontro a provocare la nostra indisciplina e a procacciare punizioni per l’altro uomo-laser, Paterson. In pratica ogni tentativo di occupazione stabile del loro campo è stato sventato. E se si sta troppo lontani dalla linea di meta è impossibile segnare.
Se da un lato in mischia chiusa l’Italia non ha dominato con l’intensità che ci si aspettava, dall’altro la touche non ha offerto la piattaforma d’attacco necessaria allo sviluppo del nostro gioco. Il computo dei palloni persi e rubati ci pone su un piano di sostanziale equilibrio, ma non la qualità generale della conquista, né l’efficacia del contrasto per destabilizzare sul nascere le loro operazioni. I lanci sono stati variati nelle zone di salto, ma le prese pulite a due mani sono state pochissime. Ed è su quelle che doveva far leva per strutturare il maul penetrante, il mezzo offensivo attorno a cui si costruiscono i nostri attacchi più pericolosi. Evidentemente la sostituzione di Bortolami, l’uomo che dirige le operazioni sulla rimesse laterali, è stata più problematica del dovuto.
A ciò si aggiungano gli errori nel gioco al piede, sia di occupazione che offensivo (disastrosi i calcetti radenti di Pez), la difesa accorta degli scozzesi, scientifici nel concedere punizioni lontano dai pali, e quella scriteriata degli azzurri che ha regalato piazzati fin troppo facili. Mettiamoci infine il coaching ampio di Hadden equello ristretto di Berbizier,con soluzioni più limitate, che contribuiscono a spiegare perchè l’Italia nell’ultimo quarto non sia riuscita a prendere in mano la partita come il copione della serata esigeva.
Saint-Etienne
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Erano tantissimi i tifosi italiani al seguito della Nazionale.
Stime ufficiose dicono quasi 15mila, giunti con ogni mezzo a Saint-Etienne per partecipare a un rito collettivo e scrivere assieme agli azzurri una pagina di storia: quella della prima qualificazione ai quarti in Coppa del mondo.
Erano tanti anche gli scozzesi, forti delle loro cornamuse. Ma al momento degli inni e per tutta la partita il tifo italiano ha preso il sopravvento. A un certo punto, vedendo che l’incitamento "I-ta-lia, I-ta-lia" sembrava non bastare si è levato spontaneo dalle tribune un
"ra-gaz-zi! ra-gaz-zi! " carico di affetto che ha fatto capire quale sia la simbiosi tra il popolo del rugby e la quadra di Troncon, uno dei più acclamati con Mauro Bergamasco.
Ma quando proprio su un calcetto di Tronky gli scozzesi hanno portato fuori la palla e l’arbitro ha fischiato la fine, i tifosi italiani sono piombati in un silenzio funereo, immobili nelle loro felpe azzurre, le facce dipinte col tricolore, come quella di Tiziano Ferro, tra i più scatenati sugli spalti. Appena il tempo di rendersi conto del sogno svanito e sono affiorate le lacrime. Hanno pianto fidanzate, mogli di giocatori, amici.
Riccardo di Treviso è accanto a una signora bionda che da una decina di minuti non riesce a trattenere i singhiozzi: «Non abbiamo fatto una bella figura – dice lui-. Se avessimo giocato meglio le precedenti partite sarebbe stato tutto diverso, la sconfitta di questa meno amara. La squadra non meritava un Mondiale così». Più passano i minuti e più subentra la rabbia. Due coppie sono arrivate da Firenze: 774 chilometri in 8 ore d’auto. «Perdere ci sta – dicono – ma ci vuole sempre il cuore. Ci fosse stato Scanavacca, chissà». Il riferimento è agli errori di Pez.
Continua la maledizione della pioggia anche nel dopo partita, attorno allo stadio, tra gli stand della birra. Un gruppo di una trentina di tifosi di Parma apre un camper dal quale spuntano parmigiano, culatello e lambrusco. Ci si ripara sotto cappelli veneziani ed elmi romani. «Siamo troppo tristi, dobbiamo festeggiare per forza» dice uno con la bandiera tricolore. I veneti sono dappertutto. Massimo Rizzato è arrivato da Rovigo in pulmino con 9 amici: «È una grande delusione, abbiamo sperato fino all’ultimo. I nostri hanno giocato tutti bene, ma Pez ragazzi…».
All’una di notte il silenzio, le lacrime, la rabbia sono passati. E va in scena nel centro di Saint-Etienne il terzo tempo con gli scozzesi. In un locale spopola il dialetto del "Vecio rugby Treviso", la squadra degli old. Due bistrot più avanti ecco un’altra pattuglia di rodigini capitanata da Jonny Greggio e dall’ex pilone rossoblù Mauro Quaglio, accompagnato dal figlio. «Bisognava mettergli più pressione con i calci – spiega Mauro davanti a una pizza -. Up and under e tutti sotto. Con la pioggia che cadeva solo così potevamo farli sbagliare». La strada sfocia nella piazza principale dove a dominare sono i kilt e le cornamuse. Un suono che per gli italiani non è mai stato tanto triste come nella notte di Saint-Etienne.
a. li.
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COPPA DEL MONDO Dopo il ko di misura con la Scozia e il sogno infranto, sfocia in un epilogo amaro il rapporto teso tra tecnico e Nazionale Italia, mezza squadra volta le spalle al citì
Freddo saluto di Berbizier ai giocatori nella notte di St. Etienne.
In settimana incontro decisivo a Parigi con Mallet, poi l’annuncio
Saint Etienne
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Un omino lascia solitario lo stadio nella notte piovosa di St. Etienne. Ha il vestito gessato. Un’orchestrina di tifosi francesi suona un malinconico tema in sottofondo. Lui si gira un attimo, indugia, poi svanisce nel buio. È Pierre Berbizier. L’Italia ko per un calcio (18-16) con la Scozia ha appena visto svanire il sogno di qualificarsi ai quarti del Mondiale. Lui esce di scena così, dopo 2 anni di gloria (13 successi, alcuni storici, 1 pari, 17 sconfitte), ma anche di rapporti non sempre facili con i giocatori.
Passa un po’ di tempo e nell’albergo azzurro si consuma un’altra scena simbolica. I dirigenti hanno organizzato l’addio ufficiale al citì, che va al Racing Parigi. La squadra c’è tutta. Parla il manager Carlo Checchinato, parla l’accompagnatore Pierluigi Bernabò. L’unico che non parla, a parte un grazie, è Berbizier. Nonostante sia l’ultima volta che può dire qualcosa a questi ragazzi tutti insieme. Timidezza di carattere? Probabile. Ma anche freddezza verso una parte del gruppo, con il quale rapporto si è definitivamente deteriorato dopo tre mesi a contatto di gomito fra preparazione e Coppa del Mondo. Una delle cause delle prestazioni inferiori alle attese dell’Italia va cercata qui.
Sulla mancata sintonia nei 21 giorni francesi della Coppa finora c’erano stati solo sussurri. Adesso che, purtroppo, tutto è finito si sono trasformati in qualcosa di più. Mezza squadra ormai non era più in sintonia con Berbizier. Ha tenuto duro unita all’altra mezza sperando di centrare l’obiettivo comune dei quarti. Ma ormai non sopportava metodi, idee, scelte, atteggiamenti del citì. Non tanto perché aveva annunciato con largo anticipo l’addio. Quanto perché stare 3 mesi vicini ha fatto esplodere i motivi di logoramento, anche in passato mai mancati.
Come dimenticare la panchina impartita a Lo Cicero (ora, però, lo porta con sè al Racing) appena Berbizier è arrivato in Italia? O la vicenda della leadership e certe frasi rivolte a Bortolami in conferenza stampa? O le sfuriate negli spogliatoi (Genova con l’Argentina), le giubilazioni (Stoica, Scanavacca), il rifiuto di consegnare le maglie ai giocatori prima di Italia-Canada a Fontanafredda (reazione al braccio di ferro sugli stipendi che infiammava quei giorni) e ulteriori episodi? Al Mondiale si è aggiunto dell’altro. A partire delle scelte tecniche e dalla risposta all’Haka contro gli All Blacks, dalle accuse di troppe distrazioni extrarugbistiche lanciate dal citì a certi azzurri, o da quelle di scarso studio degli avversari imputate da loro a lui.
A questo punto è salutare che arrivi un nuovo tecnico di spessore, come Nick Mallet. Per chiudere con lui il presidente Giancarlo Dondi avrà un incontro decisivo a Parigi in settimana. Poi, salvo complicazioni, arriverà l’annuncio. A Berbizier, logoramento dei rapporti a parte, resterà la sincera gratitudine di tutto il rugby italiano e di tanti giocatori. Al nuovo "santone" anglo-sudafricano toccherà il compito di portare la Nazionale un passo più in là di dove l’ha lasciata l’omino che si è dileguato in solitudine nella notte piovosa di St. Etienne.
Ivan Malfatto
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