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[RUGBYLIST] R: Re: R: la crisi della dirigenza sportiva
ilfalco7
ilfalco7 a libero.it
Lun 11 Lug 2016 16:31:27 CEST
Beh noi ne abbiamo avuti campioni di Francia o inghilterra per cui......
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-------- Messaggio originale --------
Da: Luca Oliver <lucaoliver63 a gmail.com>
Data: 11/07/2016 16:13 (GMT+01:00)
A: rugbylist a rugbylist.it
Oggetto: Re: [RUGBYLIST] R: la crisi della dirigenza sportiva
Resta da dire che il basket italiano resta un
basket di talenti che falliscono l'ultimo obiettivo, ma prima di
quello vincono una massa di partite, e perdono
all'ultimo supplementare dell'ultima finale ...
Ma
l'osservazione era legata - non vorrei che te lo
dimenticassi ... - alla scuola italiana che manca di formare
adeguatamente sul piano fisico,
quando noi
abbiamo tre giocatori in NBA e due che vincono il campionato in squadre estere ...
Ciao.
Luca
Il 11/07/2016 01:18, ilfalco7 ha
scritto:
Mi ricordo quando qualcuno elogia il basket italico che era
un immagine vincente e creava giocatori x andare in Nba. Al
contrario delle strutture accademie e federali. Dopo questo
risultato cosa resta da dire?
Inviato dal mio
dispositivo Samsung
-------- Messaggio originale --------
Da: Giovanni Ciraolo <jxcira a tin.it>
Data: 10/07/2016 23:06 (GMT+01:00)
A: 'Rugbylist' <rugbylist a rugbylist.it>
Oggetto: [RUGBYLIST] la crisi della dirigenza sportiva
La
controprestazione del nostro basket che non va a Rio mi fa
pensare. Tra l’altro, il basket è tecnicamente parlando lo
sport più vicino al
rugby. Il fatto che le nostre squadre nazionali perdano
terreno rispetto a
nuovi paesi emergenti non è casuale. Questi paesi hanno
dirigenze sportive (anche
di club) formate da persone che possiamo definire simili
ai nostri nonni del
miracolo economico, i quali vinsero un numero incredibile
di medaglie a Roma
nel 60. Organizzammo allora una Olimpiade che era un
modello di realizzazione,
oggi nella capitale sarebbe già complicato scavare e
riempire i buchi intorno
al Foro Italico. Quali risorse c’erano allora in una
Italia che emergeva agli
occhi del mondo? C’era innanzitutto la speranza, cioè
grandi aspettative verso
il futuro come avrebbe detto Dickens. C’era poi un gap di
capitale umano che progressivamente
si annullava rispetto alle nazioni di testa. E c’era la
rassegnazione storica e
sociale del nostro popolo che si andava cancellando.
Alcuni nipoti di quei
nonni di allora non sembrano oggi alla loro altezza. Forse
in alcuni casi si
compra una società di club per fare uno, dieci, cento
business plan in modo da
avere uno, dieci, cento finanziamenti da parte di banche a
caccia disperata di
clienti in una economia a tasso zero dove tutto può
nascere e talvolta può non essere
mai esistito. I budget ci sono, eccome, anche nei nostri
club storici dell’ovalia!
Spesso non sono inferiori agli altri paesi. Ma talvolta
non ci sono i ritorni, causa
l’ossessione della leva finanziaria che produce un aumento
di perdite.
In
questa economia dove molti progetti non riescono a vivere,
c’è
una cosa interessante. Vedo che le nostre universitarie
seven hanno battuto le
neozelandesi, ma ci sono stati altri eventi simili dello
stesso tipo di recente;
ovviamente sarebbe ridicolo trarne considerazioni
generali, visto che tra l’altro
nel caso specifico il Giappone ci è davanti, ma è certo
che lo sport femminile
allargato al resto del mondo di lingua italiana ha tanta
fame di vincere e
sembra possedere un numero di ottano più elevato. Per
avere grossi successi sportivi
ci vuole la combustione di tante risorse. I nostri nonni/e
le possedevano al
cento per cento. Troppo grande era il ricordo della
guerra. I loro figli hanno
avuto la birra a metà. I nipoti di oggi talvolta hanno
troppi business plan in
mente, e non sanno focalizzare completamente ciò che
vogliono.
g.ciraolo
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