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[RUGBYLIST] R: I: R: I: i maestri e Doro
Giovanni Ciraolo
jxcira a tin.it
Gio 9 Apr 2015 19:58:51 CEST
Meglio così. L’importante è che tu sia soddisfatto della tua esperienza, perché vedo tanti giovani pessimisti ma d’altra parte come dare loro torto? Però occorre malgrado tutto guardare in alto, sempre, anche a prescindere dal livello del gioco!
Per quanto riguarda i francesi consentimi di dire che al liceo si giocava in una specie di acquitrino vicino al parco di “boulogne” ad ovest di Parigi. La mia scuola (Janson de Sailly) è una delle più grandi di Parigi; forse adesso si saranno organizzati meglio per lo sport, non so. Per me il rugby francese è sempre quello, identità innanzitutto, separazione tra corpo e mente e questo anche se le cose vanno male e i giocatori migliori vanno a vivere altrove. E’ un rugby sempre sintetizzato nel pieno centro dell’esagono e nelle città-cittadine meravigliose del sud-sudovest (le uniche dove la destra continua a perdere e i soldi non hanno buona pubblicità!). Ancora oggi secondo me la vita dura meta-pirenaica è il vero cuore storico pulsante originario del rugby. C’è forse lì ancora una fortissima componente dilettantesca del saper giocare (riprendo il tuo termine). Talvolta in Francia anche i professionisti giocano con un retroterra contadino. Laporte vive in una fattoria. Questi posti sono favolosi, pieni di leggende e di canti fantastici (si tu n’as jamais joué - comment peut-tu comprendre – qu’on ait le coeur serré – quand nous revient septembre).
Forse il nostro Friuli presenta caratteristiche simili al sud-sudovest francese, tra l’altro con più attività e volontà perché i friulani hanno ricostruito i loro luoghi dopo il 1976 in modo stupefacente.
IL calcio ha secondo me un handicap molto grave, non solo rispetto al rugby ma soprattutto rispetto al rugby. In una partita ci sono giocatori che quasi non toccano palla ed altri che si attribuiscono ogni merito. Le delusioni (soprattutto per i genitori) sono tremende e alcuni stadi sono ormai quasi in un regime semi-poliziesco. Hai mai visto uscire dal Flaminio/Olimpico qualche spettatore di 6 Nazioni che minimamente possa aver impensierito la polizia? Si può forse trascurare un argomento del genere nelle scelte di un genitore? Un conto è scriverlo in qualche articolo, altra cosa è utilizzare questo argomento di sanità sociale in tante sedi diverse (scuola, insegnanti, istituti di educazione fisica, comitati politici, newsletter di cultura sportiva, organismi benefici, piccole banche locali e cooperative etc..)? Si ha poi idea di quanto si spenda per un calciatore in erba? Si ha idea della violenza di certe aspettative educative quasi sempre mal riposte nel proprio pupillo?
Da come la vedo io, per migliorare il nostro rugby basterebbe che ogni sei mesi ogni squadra/società si fissasse come obiettivo irrinunciabile un miglioramento. Al limite un solo miglioramento, comunicato sempre alla federazione. Potrebbe trattarsi anche di una semplice miglioria del prato di gioco o di uno schema tattico che non veniva quasi mai provato in precedenza. I miglioramenti dovrebbero essere pubblicizzati e andrebbero studiati degli incentivi. E’ questo il management per obiettivi ormai universalmente diffuso. So che tu ritieni insufficiente la cultura tecnica in Italia. Io mi sento più possibilista, del resto quando si lancia un argomento specifico e non polemico in list vedo che escono sempre diversi suggerimenti. Per assurdo, ricordo che molto tempo fa introdussi il tema del “pisciare la palla”. Ricordo ci fu grande dibattito!
Giovanni Ciraolo
Da: rugbylist-bounces a rugbylist.it [mailto:rugbylist-bounces a rugbylist.it] Per conto di Salvatore Messina
Inviato: mercoledì 8 aprile 2015 13:06
A: rugbylist a rugbylist.it
Oggetto: [RUGBYLIST] I: R: I: i maestri e Doro
Non so che dirti...
Ho iniziato a giocare a 14 anni ed a 49 sono ancora qua che mi diverto a giocare ed insegnare il rugby come all'inizio. Non ho mai fatto il professionista, non ho mai allenato professionisti ed alla sera preferisco mangiare un piatto di pasta e bere una birra in club house dopo gli allenamenti insieme ai ragazzi, che rimangono perché si sono divertiti (non solo perché la cuoca è brava).
Probabilmente a qualcuno da solo fastidio che per il terzo tempo si debbano giocare i primi due... Mi dispiace deluderli ma il rugby pare sia uno sport che va comunque giocato in campo, poco o tanto ed a qualsiasi livello.
P.S. Per inciso il mio hobby principale è la pesca e d'inverno 2 mesi di stagione sciistica non me li leva nessuno. Ho un lavoro che mi impegna 8 ore al giorno e mia moglie non si lamenta delle prestazioni coniugali e prima di lei un certo numero di morose (i rugbysti piacciono). Quindi o non so scrivere o il mio concetto di divertimento e di tutti quelli che ho incontrato sui campi da rugby in tutti questi anni è diverso dal tuo... A meno che non si confonda "alto livello" con il semplice "saper giocare". Io parlo di saper giocare... l'alto livello è altra cosa ed oggi per professionisti... Molti confondono il giocare a rugby con il saper giocare a rugby. Io ogni tanto gioco a calcio ma non so giocare a calcio visto che non so nemmeno palleggiare la palla. Tanti giocano a rugby ma non sanno fare un passaggio preciso di 3 metri con la sinistra. Non è colpa loro... devono solo imparare...
Salvatore Messina
----- Messaggio inoltrato -----
Da: Giovanni Ciraolo <jxcira a tin.it>
A: rugbylist a rugbylist.it
Inviato: Martedì 7 Aprile 2015 22:01
Oggetto: [RUGBYLIST] R: I: i maestri e Doro
Più che ignorante mi sembri coltissimo. Mi sembri nel tuo decalogo come Martin Lutero e come lui potresti forse esporre le tue tesi fuori dall’entrata della curva sud del volgarissimo, rugbisticamente dopolavoristico e odiatissimo Stadio Olimpico!
Aldilà dell’indubbio interesse stilistico e concettuoso sempre presente nei tuoi scritti, dalla tua prosa mi sembrano assenti due parole: divertimento e amicizia.
Mi sembra di capire che tu vorresti espellere o declassare queste due parole dal mondo del rugby. A mio parere sbagli. Il tuo sembra un rigore senza libertà.
Come può un giovane divertirsi nel tuo mondo e nella tua pedagogia? La parola divertimento sembra assente dal tuo mondo. Anche l’amicizia sembra relegata in un tunnel estraneo al gioco. Dovremmo forse coltivare la figura di un sportivo superiore, di una figura patrizia che tutto sovrasta, di un uomo con pochi amici, quasi nessun hobby, vigoroso ed infelice, ma fantasticamente posizionato su di una immensa palla ovale educativa?
La fatica ed il dolore che tu associ in maniera strettissima al rugby si incontrano, in realtà, in quasi tutti gli sport. Non è forse faticosissima una regata che ti sega l’anima? Non sono faticosissimi cinque set di pallavolo o di tennis? Non sono forse super-impegnativi due minuti stretti di uno slalom gigante (ti parlo per lunga esperienza diretta) che si appropriano del tuo fiato ed anche delle tue gambe? E cosa dire del ciclismo e della sua abnorme ma richiesta pressione arteriosa? Vogliamo forse eleggere il rugby a disciplina molto più faticosa di qualunque altra? Le tue affermazioni mi sembrano doloristiche e come tali non richiamano gli insegnamenti di Maria Montessori, la quale per certi versi si è opposta proprio al dolorismo privilegiando l’autovalutazione del soggetto che impara rispetto ad ogni legge inculcata con la forza.
Come facciamo ad attirare bambini e adolescenti al rugby in una prospettiva doloristica? Siamo davvero noi italiani gli unici a concepire il rugby in modo diverso da tutto il resto del mondo? Che vuol dire? Viviamo in una savana dove ripetiamo da sempre gli stessi gesti e gli stessi riti?
Peccato che nel mondo ci sono interi paesi se non continenti che copiano proprio i nostri prodotti. Peccato che l’italiano è la quarta lingua del mondo e viene parlato in molti paesi rugbistici, con in testa Argentina ed Australia. Mio padre è stato segretario d’ambasciata in Australia!
La tua demolizione del gioco dilettantistico e del terzo tempo mi sembra consequenziale al tuo rifiuto (direi implicito) del divertimento nello sport. Se non ci si può divertire, se non si possono fare amici dopo il gioco, ma allora perché invocare il terzo tempo e perché provare anche il piacere in uno sport come il rugby? Sembra che per te non ci sia una gioia anche nella sofferenza. Sembra che non ci sia una libertà anche nella disciplina. Almeno è questo che io penso.
Nella tua tavola la libertà sembra assente. Noi italiani saremmo coloro che si ripetono e fanno sempre le stesse cose. Non saremmo liberi. Beccaria ha sognato!
Anche il tuo super-io francese mi sembra francamente esagerato. Posso dire, assistito dai miei 6 anni di liceo francese a Parigi, che in quel tipo di scuola si gioca a palla ovale essenzialmente per divertirsi e nella stessa misura del calcio e non ho mai incontrato in questo una educazione superiore. E’ vero che esiste anche la Francia protestante e dei palati sopraffini, essenzialmente Tolosa, ma è una minoranza anche nel rugby. Non vedo nessun tasso educativo strabiliante nel rugby transalpino. Semplicemente hanno creato una scuola e la difendono. Giocavano quarant’anni fa in quelle zone dove ancora oggi giocano. Nulla di divino, nulla di superiore. Non si impara il rugby con gli dei greci! A mio parere si impara il rugby giocando, e migliorandosi, come in ogni altro sport.
Giovanni Ciraolo
Da: rugbylist-bounces a rugbylist.it [mailto:rugbylist-bounces a rugbylist.it] Per conto di Salvatore Messina
Inviato: martedì 7 aprile 2015 13:41
A: rugbylist a rugbylist.it
Oggetto: [RUGBYLIST] I: i maestri e Doro
Ah ah ah!
Prendo a spunto le tue parole per una mia considerazione "ignorante"...
Per imparare a fare qualsiasi cosa bisogna prima capirne la finalità: un cucchiaio serve a mangiare meglio che con le mani, il cambio automatico a tenere entrambe le mani sul volante, il telaio computerizzato a tessere disegni complicati in breve tempo e l'amante a tamponare quando la moglie ha il mal di testa.
Una volta capito questo ci si guarda in giro e si vede come sono fatte queste cose e come si usano al meglio. Se si è bravi si migliorano altrimenti si impara a costruirle e ad usarle.
Noi italiani in questo siamo bravissimi perché, contrariamente a quanto si creda, la concorrenza nel nostro paese è fortissima e fin da bambini impariamo a "passare davanti agli altri in fila".
Questo perché ci guardiamo in giro, osserviamo, copiamo e poi realizziamo ciò che abbiamo capito.
Lo stesso avviene con il rugby solo che per noi il rugby significa qualcosa di COMPLETAMENTE diverso dal resto del mondo. Non lo abbiamo cioè capito. Continuiamo quindi ad impegnarci, investire, spremerci il cervello, copiare ma finché la nostra idea di rugby sarà diversa saremo competitivi con il resto del mondo solo nelle occasioni in cui il nostro rugby coincide con quello degli altri.
Alcuni luoghi comuni...
"Il rugby sport per tutti"
Non è assolutamente vero: per giocare a rugby bisogna essere forti, veloci ed aggressivi; in grado di sopportare (veramente) il dolore e la fatica e con una massa muscolare adatta ad assorbire i colpi. Il fighetto o il panzone perderanno sempre contro il "figlio di puttana".
"L'importante è partecipare"
L'importante è vincere. Si può partecipare ad una partita di tennis, una partita di calcio o a briscola ma per placcare l'avversario o superare un placcaggio bisogna avere VOGLIA di vincere altrimenti lo si prende per la maglia o si fa una ruck (questa la capiscono in pochi!)... Così come scalare una montagna o una salita in bicicletta.. devi aver fame di vincere non di partecipare, altrimenti si molla...
"Terzo tempo"
Il terzo tempo è una invenzione tutta nostra. Per i non anglo-sassoni non è concepibile prendersi a mazzate e poi ridere e scherzare assieme. I latini odiano in segreto, ti colpiscono alle spalle e considerano la violenza come un mezzo per raggiungere uno scopo. Gli altri si prendono a botte perché è divertente, al pari di bere e fare sesso... Così negli ultimi 20 anni si è enfatizzato il terzo tempo per portare al campo gente che con il rugby non aveva niente a che fare ma a cui piaceva avere un motivo per mangiare e bere e fare casino... Risultato? Olimpico e club house stracolmi ma in campo i soliti 4 gatti!
"Rugby sport di contatto"
Mi sono sempre domandato che cosa sia il contatto... L'unica cosa che mi viene in mente è una ragazzina timida che cerca di sfiorare il corpo del suo amato segreto.
Il rugby è uno sport di scontro. E' un combattimento tra me e l'avversario e quando si va a placcare 100 kg in piena velocità la tecnica serve a poco se non hai "istinto omicida". La differenza, da spiegare alle mamme (ma che loro non capiranno mai appunto perché sono mamme) è che l'aggressività non va repressa ma gestita perché nella vita prima o poi capiterà quel momento in cui devi tirare fuori le unghie e i denti. Oltretutto se la nostra situazione psichica non è equilibrata potrà esplodere incontrollata per futili motivi.
"Rugby sport di valori"
Qui dovrei scomodare Kant ma è troppo anche per me... Però aveva ragione su tantissime cose, in primis la morale umana.
"Sport educativo"
Nessuno ha dubbi su questo. Semmai la domanda sta nel concetto stesso di educazione nel nostro paese. Sopratutto cosa vogliamo e-ducare...
"Metodo globale"
Lasciato per ultimo appositamente. L'unico concetto "tecnico" ma che riassume in se tutte le mancanze del nostro rugby. Se ne sono dette tante e tante ancora se ne dicono tra chi ringrazia, maledice, benedice o semplicemente è in disaccordo con Villepreux che ha inventato (???) "la madre" di tutte le metodologie didattiche dell'ital-rugby.
Diciamo subito che di per se è valida così come è valido un antibiotico. Quello che però dobbiamo valutarne è la posologia. Se ho mal di denti forse è un tantino inutile...
(Sospiro...)
Tanto per riassumere l'idea del famoso metodo di insegnamento del rugby ha origini lontane e si basa essenzialmente sul famoso metodo Montessori (e/o Agazzi) in cui il bambino essenzialmente scopre e si auto-forma in base all'esperienza (guarda caso idea nata da italiani...). Senza dare un giudizio positivo o negativo, la particolarità del francese sta nel fatto di aver utilizzato tale metodo come stratagemma per facilitare l'insegnamento del rugby nelle scuole francesi anche da parte di insegnanti (insegnanti laureati) che non lo conoscevano.
Applicato da noi è stato sfruttato per far insegnare il rugby anche a persone che non sapevano nemmeno cosa fosse... E i risultati si vedono!
La differenza tra noi e la Francia sta nel fatto che alla scuola francese il rugby serviva come sussidio educativo. Stava poi alla FFR ed ai club convogliare i ragazzi che se ne appassionavano oltre l'attività educativa scolastica.
Da noi invece si è usato il metodo globale direttamente sui campi a mano di insegnanti volenterosi ma che nella maggior parte dei casi (sopratutto negli ultimi anni a seguito dell'inserimento delle "obbligatorietà") non avevano un vissuto rugbystico per definire gli obbiettivi da raggiungere con il metodo globale.
Con l'avvento del rugby-televisivo anche i pochi obbiettivi tecnici rimasti sono stati miseramente confusi...
C'è altro ma qui ho esposto i punti salienti delle peculiarità del nostro modo di interpretare il rugby. Alcuni sono antichi, altri sono più moderni intervenuti ad "incancrenire" la situazione.
Cambiamo il nostro rugby o ritiriamoci a giocarlo solo tra di noi...
Salvatore Messina
----- Messaggio inoltrato -----
Da: "luciano37 a libero.it" <luciano37 a libero.it>
A: rugbylist a rugbylist.it
Inviato: Venerdì 3 Aprile 2015 12:06
Oggetto: [RUGBYLIST] i maestri e Doro
Con gli auguri per la Pasqua, chiedo agli amici della List di accettare anche una breve considerazione sul "dibattito" in atto a proposito di Georgia e Italia.
Nei miei, purtroppo lunghi anni con, o accanto, la Nazionale, a ogni delusione azzurra ho visto concretizzarsi l'ammirazione per nuovi "maestri" o modelli da imitare.
Così prima la Francia, poi la Romania, poi perfino l'Urss (i cui tecnici affermavano di avere affinato il loro rugby sui filmati del "Cinque Nazioni") e quindi, a cascata, tutto il rugby di lingua inglese, per non parlare dell'Argentina. Adesso la Georgia.
Non entro nel merito, ricordo solo una frase tanto giocosa quanto lapidaria, dell'indimenticato Doro Quaglio: " Nonostante tutti questi maestri, di rugby non abbiamo imparato quasi niente. Ma quanto ignoranti siamo, noi italiani?"
Auguri ancora
Luciano Ravagnani
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