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[RUGBYLIST] Giochi senza frontiere (Il Mistero)
Paolo Ricci Bitti
paribi a infinito.it
Mar 29 Ott 2013 01:44:29 CET
Giochi senza frontiere
La lettera di Giovanni è molto bella e capace, come tutto ciò che pesca
con sincerità nei propri sentimenti, di farti fermare un momento a
pensare. Magari a riportarti in mente i viaggi dietro la palla ovale che
hanno toccato anche le comunità italiane in Australia, Nuova Zelanda,
Sud Africa, Galles, Inghilterra. Contatti che, tra luci e ombre, non si
dimenticano. Complimenti, Giovanni. Ma allo stesso tempo quelle parole
mi sono sembrate fuori contesto. Su una cosa sono d'accordo: è mancato
un commento adeguato alla Rlwc.
L'avventura dell'Australitalia nella Rugby League World Cup è un
fenomeno che merita infatti di essere studiato, analizzato e raccontato,
a patto però di dire le cose come stanno. E di aver lo spazio per dirlo
(grazie, Rugbylist)
Con la speranza, infine – e questo è naturalmente il mio parere – che
non ci siano attiguità con il “nostro” rugby che mi sembra assurdo
coinvolgere in questa vicenda. Scusate, non sarò breve.
Impresa. Ma quale impresa? Quest'Australitalia aveva già battuto il
Galles in Galles nel 2010 (13-6)
Folle oceaniche. Ma dove? Con 45mila spettatori il Millennium (72.499
più un posto per il Principe di Galles) è mezzo vuoto: per di più si
tratta del pubblico complessivo per la cerimonia di apertura (e lì sanno
cantare e ballare molto bene) e per due partite in sequenza
Inghilterra-Australia e Galles-Italia. Quanti sarebbero stati solo per
il secondo match? Nel 2000 a Wembley per Inghilterra-Australia gli
spettatori furono 41mila.
A chi interessa realmente questa Coppa del Mondo? A livelli
stratosferici (business e passione) a metà dell'Australia (3 stati su 6)
che in tutto ha 19 milioni di abitanti. Punto. Poi, più in basso, ma
comunque a grande livello, all'Inghilterra del Nord, 20 milioni a star
larghi (e nemmeno un po', ad esempio, alla macro area di Londra).
Scendiamo ancora: alla macro area metropolitana di Auckland (2 miliondi
di abitanti). Poi i numeri del fenomeno precipitano: Papua Nuova Guinea
(sport nazionale) e Tonga. E qualche piccolissima enclave in Francia,
con il quotidiano L'Equipe che dedica ai Dragoni Catalani mediamente tre
righe tre, sempre ultima tra le notizie in breve in fondo alle 4 pagine
dedicate al Top 14. Tracce in Sud Africa.
Per 33 anni i campioni di mondo sono stati gli australiani, sai che
suspence, poi soprattutto i polinesiani emigrati attorno a Auckland e
affamati di ingaggi economici hanno reso forte la Nuova Zelanda che è
l'attuale campione in carica.
In questa situazione come allestire una Coppa del Mondo veramente del
mondo? Come evitare il bagno di sangue del 2000 sempre in Inghilterra,
passata alla storia come l'edizione di un evento sportivo da NON
imitare? Come reggere almeno un po' il confronto con la Coppa del Mondo
a XV del 2015? Come attirare gli sponsor?
Da qualche anno gli australiani della potentissima Nrl hanno allora
cominciato a seminare i loro giocatori e i loro tecnici non più nel giro
della nazionale in selezioni ispirate dal melting pot della loro
immigrazione e pazienza se manca del tutto la tradizione ovale nei paesi
che danno il nome a queste formazioni: Serbia, Libano, Repubblica Ceca,
Grecia. E poi qualcosa a Scozia e Galles, dove qualcuno che maneggia
l'ovale si trova sempre. E come lasciare fuori l'Italia e i suoi tanti
australitaliani. Con match che fanno sobbalzare: nel 2009 al Marconi
Stadium di Sydney si è giocato Grecia A contro Italia A (34-10) davanti
a 2500 spettatori. Urca, ma allora la Grecia e l'Italia hanno persino
una formazione A dopo quella full XIII? Beh: Melbourne è la seconda
città greca dopo Atene.
Dopo qualche anno di innesti e dopo aver riassegnato almeno per questo
periodo i tongani a Tonga, i fijiani alle Fiji e i samoani a Samoa (poi
si tornerà in Nuova Zelanda e in Australia), ecco un congruo numero di
nazionali per giustificare l'evento mondiale. Almeno dal punto di vista
delle apparenze. E infatti i media anglosassoni sono a dir poco freddi,
se non addirittura, sospettosi con l'evento.
E arriviamo all'Italia: la nazionale azzurra estratta senza particolari
artifizi dai 350 tesserati nostrani dalla Firl (antagonista della Fifrl,
perché anche di queste divisioni siamo capaci) se la cava persino molto
bene in Europa (Inghilterra e Francia ecsluse) quando affronta le altre
piccole ad armi pari. Sennò il banco salta. Dagli australibanesi può
prendere 86 punti nel 2009 e pareggiare 19-16 se arrivano i rinforzi
dell'Australia, come è avvenuto nel 2011 per le qualificazioni ai
mondiali 2013, raggiunti superando (agevolmente) Russia e Serbia.
Siamo all'altro ieri: l'Australitalia batte nel warm up l'Inghilterra
(come ha quasi sempre fatto l'Australia, ma complimenti comunque per
aver fatto sudare freddo gli orgnizzatori dell'evento) e quindi il
Galles (ma a quanti gallesi interessa il XIII?) e adesso ha persino la
possibilità di arrivare ai quarti di finale contro la Nuova Zelanda se
batterà Scozia e Tonga (si può fare).
Bene, ma che c'entra l'Italia e, soprattutto, l'Italia del rugby XV con
tutto ciò? Che senso ha ricordare che l'Italia XV non ha mai battuto il
Galles al Millennium? Sia chiaro che ho il massimo rispetto dei
giocatori australitaliani che vestono l'azzurro perché non più
selezionati dall'Australia: sono dei fenomeni, bravissimi,
entusiasmanti. E la Firl sostiene anche che sono lì in Inghilterra senza
compensi (solo 200 sterline la settimana), il che per degli
iperprofessionisti fa un certo effetto. Ma dove sono i giocatori del
campionato che allestisce la Firl in Italia? Ce ne fosse almeno uno gli
ordini dell'allenatore angloitaliano Carlo Napolitano (ex Salford) che
al The Independent ha detto che non vale la pena di rispondere alle
domande sull'italianità di questo team: <<Siamo orgogliosi di
rappresentare l'Italia, il nostro motto è “una famiglia”>>.
E ha senso suggerire a Brunel di guardare verso questi australitaliani?
Mah, dico di no anche se Craig Gower non era per nulla male, anzi: però
non credo sia positivo il bilancio finale complessivo del suo tira e
molla a tarda età con la maglia azzurra. Prima di lui, poi, bisogna
risalire al triste esperimento di Nick Zisti, fantasma alla Coppa del
Mondo più tetra di tutte, quella del 1999. Come mai in oltre 10 anni tra
questi due nomi (e prima non ce ne sono altri) nessun altro giocatore
australitaliano ha mai fatto il salto verso la nazionale azzurra? Forse
perché si sta meglio (a cominciare dal salario) a Sydney e dintorni.
E, si badi bene, il rugby a XIII è un grande sport, altamente
spettacolare, che negli ultimi anni ha insegnato molto al XV (off load e
difesa, in particolare): Davide Campese diceva sempre che è utilissimo
per imparare i fondamentali. Il supremo e compianto Frank Keating nel
2001 scrisse sul Guardian: “Grande sport il XIII, peccato debba scomparire”.
Già, è molto veloce, e il giocatori sono rocce mobilissime, ma se il
difetto più grande del rugby a XV è di essere non abbastanza diffuso, ad
alto livello, nel mondo, figuriamoci il XIII “registrato” in 38 stati
(molti assai piccini) con un'altra quindicina in attesa. E poi, per
quanto vituperata, senza mischia che rugby è? (almeno per me, eh)
Dopo l'ubriacatura degli oriundi della fine degli anni 2000 avrebbe
senso allora puntare adesso su questi australitaliani? La Firl ha detto
in questi giorni: “Se vi serve qualcuno di questi azzurri per il Sei
Nazioni ve lo prestiamo volentieri”. Ma che, siamo al foro boario? E
Sonny Bill Williams che passa da un codice all'altro e ritorno
mettendoci in mezzo la boxe (con avversari invero un po' molli)? Ma lui
è un talento universale, giocherebbe benissimo anche a tennis. In
passato per un Jonathan Davies o un Jason Robinson che passavano bene
dal XV al XIII o viceversa quanti hanno invece fallito?
Ricapitolando: onore all'Australitalia in questa Coppa del Mondo e in
bocca al lupo alla Firl, ma ognuno a casa sua. Per costruire il futuro
dell'Italia del Sei Nazioni basta con le scorciatoie: meglio un
giocatore di scuola nostrana o un equiparato che un pur fenomenale
tredicista part time o scartato o a fine carriera in arrivo da dove
saltano i canguri.
Ciao
Paolo
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