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[RUGBYLIST] memoria, nostalgia, pinsa e altro
Gian Domenico Mazzocato
giandoscriba a giandomenicomazzocato.it
Gio 2 Feb 2012 11:55:04 CET
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GIAN DOMENICO MAZZOCATO
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Beh, il discorso sulla memoria ha prodotto dibattito e ha fatto pubblicità alla bella iniziativa dell'amico Andrea Pelliccia. Io gliene sono grato, penso anche molti altri. Vorrei sottolineare alcune cose.
1) NOSTALGIA.Queste operazioni non possono e non devono essere all'insegna della nostalgia. La retorica del "rugby del panino" ci ha riempito palchi, soppalchi e ballatoi. Il "come eravamo" serve per dare un senso al cammino compiuto e a progettare futuro. Si conservano (si cerca di conservare) i valori, si modificano la sovrastrutture.
2) LA PINSA. La parola, intanto. È la stessa cosa di "pizza".
Etimo incerto. Forse una voce germanica (forse longobarda) che significa focaccia. Se, come pare, questo è vero c'è da ridere: la pizza l'hanno inventata a nord.
In area NordItalia la pinsa era la schiacciatina che si cucinava tra le braci, con i resti dell'impasto, il giorno in cui si infornava il pane che doveva durare un mese e più.
Poi divenne il modo di recuperare tutto quanto avanzava in cucina e che non fosse carne.
I resti della polenta sì, ma anche il pane secco.
E tutto quello che si poteva recuperare (un paio d'uova, fichi secchi, uvetta, frutta secca) era benvenuto: tutta ricchezza (e golosità) in più.
Già questo dice che non esiste una ricetta precisa (nemmeno nel contesto di una stessa famiglia e in due preparazioni successive).
Semplicemente si utilizzava tutto. Tutto quello che c'era.
Rigorosa (perché rituale) la prima cottura dell'anno con le braci del panevin (il falò postnatalizio): forno e perfino focolare erano un ripiego.
3) POVERA TREVISO, OPULENTA PADOVA.
Devo un grazie di cuore a Giorgio Betteto: sono felice quando risulto divertente e regalo allegria al mio prossimo strappandogli qualche risata.
Convengo in tutto con lui che dire che Treviso era povera e Padova opulenta è schematico e dunque perfino banale (dico solo che un testo del genere non è un trattato di sociologia e non deve scendere in particolari).
A Betteto ricordo uno sponsor che gli è sfuggito nel lungo elenco dei ricchissimi patron di Treviso: le Ferrovie dello Stato.
Nemmeno una lira, ma possibilità di viaggiare gratis nelle trasferte sui comodissimi vagoni lignei di terza classe.
E tuttavia vorrei eccepire.
Il rugby a Treviso era povero, poverissimo. Quando vinse lo scudetto, la Faema non la fumò proprio nessuno, come se nulla fosse accaduto.
La stragrande maggioranza di chi lo praticava vi vedeva l'unica possibile forma di riscatto sociale, di promozione. Ed era l'unico modo di stare in gruppo, di far parte di una qualche aggregazione. Nel mio volume TREVISO LA PRIMA VOLTA avrei tranquillamente potuto mettere il sottotitolo: CENTO STORIE DI ORDINARIA MISERIA.
Gildo Mestriner, contadino di Villorba per nascita e seconda linea per elezione, giocò fino a quarant'anni (e vinse il titolo a 38) perche le botte che prendeva giocando a rugby erano l'unica cosa che lo facesse star bene. Erminio "Mirko" Borelli portava per 100 lire al colpo le borse dei compagni che potevano permettersi il lusso di elargire quella cifra.
Il "ricco" bancario Giorgio Panizon si iscriveva a referto con un nome falso per non far vedere che giocava ai suoi datori di lavoro e al lunedì -storico- si presentava con fratture non curate, ostentando indifferenza.
E via all'infinito.
Treviso assomigliava piuttosto a Rovigo: non fu un caso se qui approdarono prima Maci e poi Topa. E certo non fu un caso se Battaglini andò ad abitare a Santa Bona uno dei quartieri più poveri (e più rossi) di Treviso.
Racconto un episodio che riguarda il mio amico Lucrezio "Catin" Carnio, prima guerriero della mischia trevigiano poi buon arbitro.
Di ritorno da una trasferta milanese (anno del primo titolo: 55/56) la squadra capitò in centro a Treviso, in un ristorante storico, Il Bersagliere.
Non avevano una lira.
Il padrone del ristorante si accorse dello sguardo di avidità che Catin buttò sulla brenta della pasta e fagioli: forse una cinquantina di porzioni.
Gli disse: "Se la mangi tutta è gratis, se no paghi".
Catin non esitò e ci si buttò sopra.
Vinse la sua battaglia anche se solo moralmente perché si fermò (dovette fermarsi) a due dita dal fondo della brenta. Pieno e teso come un otre.
Solo che la pasta e fagioli cominciò a fermentargli in pancia e i suoi compagni di squadra dovettero, tra dolori atroci, farlo camminare su è giù fino all'alba per il Calmaggiore.
Finché Lucrezio si liberò.
Niente a che fare con Stromboli ed Etna: i vulcani di solito eruttano da un cratere solo. Lui no.
Ecco, vedi Betteto, quando dico POVERA TREVISO penso a Lucrezio Carnio.
Quando dico OPULENTA PADOVA penso che tra Bò e Prato della Valle, tra via Altinate e Piazza delle Erbe questo non sarebbe mai accaduto.
Un abbraccio e un grazie di cuore a tutti
gian domenico mazzocato
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