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R: Re: R: [RUGBYLIST] Morte D'Avanzo

rafmorani a libero.it rafmorani a libero.it
Mar 2 Ago 2011 08:53:42 CEST


dal sito Fascinazione del giornalista Ugo Maria Tassinari, un bel ricordo di Giuseppe D'Avanzo, giovane militante, giovane cronista e giovane rugbysta:

 
In morte di Peppe D'Avanzo

 






Peppe D' Avanzo nel 1997 a Tirana. Il secondo da sinistra è Carlo Bonini, che negli ultimi dieci anni è stato il suo più stretto sodale in tante campagne giornalistiche e scoop (foto La Stampa)
 
La notizia della morte di Peppe D'Avanzo mi ha lasciato senza fiato. Altri, meglio e più degnamente di me, ne canteranno le gesta professionali, ma io voglio provare a restituire il ricordo dell'amico, del campione sportivo, del compagno caldo e appassionato che era. Ci allenavamo nello stesso campo di rugby, l'Albricci all'Arenaccia. Lui, fortissimo pilone della giovanile della Partenope [o era già il Cus Napoli? dubbio del giorno dopo], che un anno arrivò seconda solo al Petrarca Padova, io modestissima ala tra gli allievi del rugby a otto (promosso secondo centro passando alla formazione a quindici). Peppe in campo era bello incazzoso, con un tasso di espulsioni decisamente elevato. Intensificammo la frequentazione nelle piazze del centro storico.
I nostri licei erano a cento metri di distanza. Il suo, il Vittorio Emanuele, aveva un'ubicazione particolarmente infelice: giusto alle spalle della federazione del Msi. Lui con pochi altri (tra cui il suo mediano d'apertura, Corrado, un altro tipo straordinario) teneva testa alle preponderanti forze nemiche. Al di là del temperamento focoso, era su posizioni politiche abbastanza moderate: non so se militasse propriamente, ma era vicino al giro dei compagni del Manifesto, tra cui emergeva come tristissimo leader Raffaele Tecce, destinato a una carriera politica abbastanza brillante (da assessore bassoliniano al Comune a senatore di Rifondazione). Ma forse il ricordo mi si confonde perché, con la sua vitalità contagiosa, mi sembrava irriducibile a quel giro di giovanissimi, pallosissimi intellettuali (tra i quali c'era anche un fidanzatino di mia sorella...). Ancora studente universitario, entrò all'ultima grande scuola del giornalismo napoletano, quella di Ennio Simeone, che tra Unità, Paese sera e Voce della Campania ha sfornato una nidiata di inviati speciali spettacolari, da D'Avanzo a Fulvio Milone, da Enzo D'Errico a Geremicca jr. L'unico deskista serio, Matteo Cosenza, oggi fa il direttore del Quotidiano di Calabria. Qualcun altro me lo dimentico ma quello che era considerato il più ciuccio, no: Michele Santoro. Poi anche lui ha trovato il modo di farsi strada ...
Direttori no, quelli li formava il democristiano Orazio Mazzoni: da Mario Orfeo a Roberto Napoletano. Negli anni del movimento ero una delle sue tante fonti: nonostante le evidenti divergenze di fondo era però sempre acutamente rispettoso delle mie competenze. Consuetudine che abbiamo mantenuto anche da colleghi, quando tornava a Napoli da inviato e si fidava della mia maniacale conoscenza degli schieramenti dei clan (ma anche degli intrecci con il sottobosco politico affaristico). Ma la frequentazione era ormai diradata, grazie a PierLuigi Vigna. Il pm fiorentino lo fece arrestare per un suo scoop in condominio con Franco Di Mare (anche se era opinione diffusa tra i colleghi che il grosso del lavoro fosse suo e che avesse socializzato per una sorta di "ricopertura" assicurativa): i due, entrambi corrispondenti precari da Napoli delle due testate di sinistra, La Repubblica non ancora così forte, L'Unità non tanto scrausa come adesso, gli avevano bruciato l'inchiesta sulla pista napoletana per la strage del rapido 904. Si fecero un po' di giorni di galera, sicuramente Natale, non ricordo se anche Capodanno [Daniela mi conferma che no, fu solo Natale, ndb]. Ma per lui fu la svolta: la Repubblica, giornale ineguagliabile nella gestione del patrimonio umano, seppe valorizzarne il talento e il coraggio.
Poco importa che il processo smontò lo scoop, assolvendo Misso e i suoi per la strage e condannandoli solo per gli esplosivi. Anche perché, nella grottesca circolarità di certe vicende giudiziarie italiane, Totò Riina ha ricevuto un ordine di custodia per quel delitto pochi mesi fa. E l'ordinanza rilancia in pieno quella ricostruzione dei fatti ...


 
 
 
----Messaggio originale----
Da: mattia.basile a fastwebnet.it
Data: 02/08/2011 8.12
A: "rugbylist"<rugbylist a rugbylist.it>
Ogg: Re: R: [RUGBYLIST] Morte D'Avanzo


Molto bello l'articolo, mi ha riconciliato con alcuni valori che pensavo si stessero perdendo.
Sentite condoglianze


Mattia Basile
Inviato da iPhone

Il giorno 02/ago/2011, alle ore 00:02, "Piero Filotico" <pierofilotico a alice.it> ha scritto:




Squadre e aziende di rugby in Italia - http://www.coobiz.it/it/aziende/trova/1?q=rugby
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Tra le più belle cose che ho letto sul rugby. Anche per questo sentirò la sua mancanza. Ciao Peppe. 
Il rugby per salvare l'Italia
Noi appassionati del rugby - diversi e un po' sfigati come può esserlo in Italia chi non ama il calcio - abbiamo un sogno: vedere l' 8 settembre a Marsiglia, quando l'Italia giocherà con gli All Blacks la partita di esordio dei Mondiali, il premier, il leader dell' opposizione. Perché no?, il capo dello Stato. In buona sostanza, chi ha sulle spalle la responsabilità di guidare il Paese. Per un motivo elementare: abbiamo la convinzione che l'Italia abbia bisogno del rugby; che i princìpi del rugby consentano di guardare meglio lo «stato presente del costume degli italiani». 
 
Siamo persuasi che questo gioco possa migliorare l'Italia. È un mistero inglorioso, per gli italiani, il rugby. Pochi sanno esattamente di che cosa si tratta. È un peccato perché il rugby ha le stesse capacità mitopoietiche del calcio e, come il calcio, permette di interpretare il mondo. Dalla sua, il football può vantare moltissimi scrittori che si sono misurati con quest'impresa. Qui da noi con il rugby si è misurato soltanto, che io sappia, Alessandro Baricco con tre cronache (due su questo giornale) che, per noi del rugby, sono ancora oggi una medaglia da mostrare in giro. Di quelle cronache, negli spogliatoi e sugli spalti semideserti, se ne conoscono le frasi a memoria. Un paio in particolare: «Rugby, gioco da psiche cubista»; «Qualsiasi partita di rugby è una partita di calcio che va fuori di testa». Non si discute la scintillante eleganza della scrittura. Mi sembra, però, che la prova di Baricco confonda quel poco che nel rugby è chiaro. «Psiche cubista». A naso, credo che si possa contestare l' accostamento tra i volumi, i vuoti del cubismo e il rugby. 
 
Il rugby è fatto di traiettorie e di pieni, quando è ben organizzato e giocato. Se si apre un vuoto è per sfinitezza o errore tattico. L'omogeneità dello spazio non interrotto, impenetrabile alle cose, di Braque mi appare l'immagine rovesciata del rugby dove i giocatori devono irrompere continuamente nello spazio altrui. Il fatto è che faccio molta fatica a vedere nella leggiadria nuda e molle de Les demoiselles d'Avignon di Picasso l' di una "linea trequarti", nella certezza che non si possa trattare di un "pacchetto di mischia" (gli "avanti" hanno troppo da fare là sotto per essere leggiadri). Soprattutto i tempi non tornano. 
 
Quando il cubismo nacque tra il 1907 e il 1908 al Salon d'Automne, il rugby era già più che maggiorenne con i suoi ottantaquattro anni, se è vero che uno spiritello anarchico consigliò a quel mattocchio d' irlandese di William Webb Ellis - nel Bigside della "pubblic school" di Rugby - di afferrare la palla con le mani e di non giocarla con i piedi, il 1 novembre del 1823. Qualcosa sulla natura del gioco vorrà, dovrà pure svelarsi se è nato nel terzo decennio dell' Ottocento e non nel primo del Novecento. La differenza - mi pare - è addirittura decisiva per comprendere quale cultura, nella sua fase originaria, sia custodita dal carattere del gioco. A cavallo di quel 1823 in Inghilterra è in corso una rivoluzione. 
 
Il Paese - il primo Paese urbanizzato e modernizzato della storia - è "l'officina del mondo", un vortice impetuoso di scienza, tecnologia, industria, istruzione, cultura, riformismo politico che cancella le antiche demarcazioni sociali tra signori e contadini, fra agricoltori nelle campagne e artigiani nelle città. La forza di quel processo di modernizzazione in movimento in quegli anni divide più che unire. Nella grande Isola, scrive Benjamin Disraeli, ci sono "due Nazioni": «Non vi è comunità in Inghilterra. Crediamo di essere una Nazione e siamo due Nazioni sullo stesso territorio, due Nazioni ostili nei ricordi, inconciliabili nei progetti». (Già qui qualche eco della nostra attuale condizione dovrebbe appassionarci). 
 
Nella palude di una nazione divisa affiora la necessità di trovare ragioni comuni, l'urgenza di creare un sistema educativo capace di formare giuristi, medici, funzionari dello stato, scienziati che sappiano - sì - lavorare con efficienza, ma siano anche consapevoli dell' interesse pubblico e dotati di "buone maniere". In questo bisogno prende forma l'idea di Thomas Arnold, preside della Rugby School, l'autentico padre del gioco, al di là del mito fondativo che fa di William Webb Ellis l'eroe. Egli immagina un nuovo modello educativo fondato su una "cristianità energica", sul servizio alla collettività, sulla disciplina abbinata al senso di responsabilità; una formazione innervata da valori che, senza rallentare "l'officina del mondo", cancelli la frattura che si è creata tra le "due Nazioni" con il rispetto e la reciproca comprensione, una memoria comune, un progetto non più "inconciliabile", ma condiviso. (Quanto questo sia necessario - oggi - all' Italia è inutile dire). 
 
Thomas Arnold è convinto che lo sport possa avere un ruolo essenziale in questa missione. Il corpo lo si può dire veramente "formato", conclude, soltanto quando con tutte le sue risorse è al servizio di un ideale morale. Lo sport non è più svago, allora. Diventa un cardine della "formazione morale". Se ogni ragazzo conosce la vittoria e la sconfitta, si rafforza la sua stabilità emotiva. Lo si prepara al servizio sociale perché si confronta con grande impegno in un quadro di regole reciprocamente accettate. Gli si insegna a rispettare l' avversario pur volendolo sconfiggere. Lo si educa ad accettare serenamente e senza alibi l'esito della competizione. Una partita - soprattutto la brutale franchezza di una partita di rugby - apre il solco entro cui si definisce un ethos, un'idea di gentleman, un modo di stare al mondo e con gli altri. Offre la possibilità di dimostrare forza d' animo, coraggio, capacità di sopportazione, tempra morale, la materia grezza di quella etica del fair play, che trova il suo slogan nell'esortazione vittoriana Play up and play the man! Gioca e sii uomo. 
 
Perdonatemi la tirata. Voglio dire che il rugby è spesso raccontato con una retorica che lo rende irriconoscibile. Ai molti che non ne conoscono le regole appare la sfrenatezza di un regime psichico primitivo segnata dai gesti di ragazzotti saturi di irrequieto testosterone. In questa luce, non se ne intravedono le metamorfosi di comportamento che si consumano nel gioco né quanto quelle metamorfosi siano indotte da un pratica auto-repressiva, governata dal Super-Io. Credo che non sia coerente allora parlare di "follia", di "caos", di «una partita di calcio che va fuori di testa». Il rugby è una faccenda per niente caotica o folle. Quindici uomini (o donne) contro quindici, separati con nettezza dalla linea immaginaria creata dalla palla, in gara per conquistare l'area di meta e schiacciarvi l'ovale. 
 
Si conquista insieme il terreno, spanna dopo spanna. Lo si difende insieme. Non esiste Io, se non vuoi andare incontro a guai seri per te e la tua squadra. Esiste soltanto Noi. Il rugby è lineare, addirittura spudorato nella sua essenzialità. È colto perché, nonostante l' apparenza, è l'esatto contrario di tutto ciò che è naturale. Nelle sue manifestazioni migliori, mai scava nella cloaca degli istinti o nel gorgo emotivo. Al contrario, impone controllo. Dicono che educhi, ma istruisce. Dicono che dia carattere, invece accultura. Postula una placenta comunitaria; un pensiero ordinato; paradigmi condivisi senza gesuitismi o imposture. 
 
Nessun odio e, per riflesso, nessuna paura (l'odio è paura cristallizzata, odiamo ciò che temiamo). Sottende una forza spirituale prima che fisica. Esclude la mossa furbesca, la sottomissione gregaria, l'arroganza del prepotente. Aborre ogni cinismo immoralistico perché è capace di essere schietto e leale nonostante la violenza o forse proprio grazie a quella. Dite, si può immaginare qualcosa di meno italiano? Ogni passo nel rugby (valori, pratiche, comportamenti, riti) è in scandalosa contraddizione con quella specificità italiana che glorifica l'ingegno talentuoso e non il metodo. La furbizia e non la lealtà. L'inventiva e mai la preparazione. Il "miracolo" e mai l'organizzazione. L'individualità e mai il collettivo. Il caldo piacere autoreferenziale del "gruppo chiuso" e mai il desiderio di farsi stimare da chi al "gruppo" (ceto, famiglia, corporazione) non appartiene: la più grande soddisfazione di un giocatore di rugby, anche se sconfitto, è l'ammirazione che suscita nell' avversario. Il rugby - la comprensione del gioco, della sua nervatura, del suo spirito e consuetudine - spiegano, come meglio non si potrebbe, il deficit del carattere italiano e le debolezze del nostro stare insieme. 
 
Ecco perché a noi del rugby piace pensare che questo gioco così estraneo all'identità nazionale possa offrire, felicemente, un esempio per riformarla. L'appuntamento è al Velodrome di Marsiglia, l' 8 settembre. Le prenderemo, ma non importa. Play up and play the man! 
 
Giuseppe D'Avanzo - La Repubblica - 2007
 
Da: 
http://www.valigiablu.it/doc/458/giuseppe-davanzo-e-il-rugby-per-salvare-litalia.htm
 


Da: rugbylist-bounces a rugbylist.it [mailto:rugbylist-bounces a rugbylist.it] Per conto di Gaetano Palmiotto @ fastweb
Inviato: domenica 31 luglio 2011 20:34
A: 'list'
Oggetto: [RUGBYLIST] Morte D'Avanzo
 
Visto che non lo ha fatto nessuno, voglio ricordare Giuseppe D’Avanzo, giornalista di Repubblica, prematuramente scomparso ieri mentre biciclettava tra Roma e Viterbo.
Oltre ad essere considerato uno dei più grandi giornalisti d’inchiesta di sempre, D’Avanzo era anche un rugbista (ex, ma come ci diciamo tra noi uno è rugbista per sempre) e per questo motivo voglio ricordarlo su questa list.


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