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[RUGBYLIST] Dal Gazzettino
Ferrini Federico
ferfed50 a yahoo.it
Lun 6 Dic 2010 21:16:23 CET
Interventi assolutamente interessanti, Angelo!
Considerazioni opportune e dati non eludibili per una analisi seria della gestione Mallett e delle condizioni attuali del nostro Rugby.
Però, e non per essere "politicamente correctily" ;-) , a mio giudizio si tratta di dati parziali (da integrare con altre variabili) e di considerazioni utili soprattutto per riflettere e ragionare.
Certamente non si può parlare di un'analisi compiuta ed esaustiva su cui basare giudizi e scelte fondamentali per il futuro.
Se così fosse, potrebbe sembrare che per raggiungere gli obbiettivi e per risolvere dunque anche i problemi della nostra Nazionale, il problema è semplicemente quello di individuare il Tecnico "giusto" che faccia le "cose giuste" ecc... , bypassando completamente il livello strutturale del nostro movimento nella sua complessità e nelle sue contraddizioni.
Se si parla di Nazionale Italiana, nel considerare gli eventuali differenziali di qualità in funzione delle squadre nazionali incontrate, non si possono considerare queste ultime come un riferimento stabile nel tempo, che può consentire una valutazione ed un confronto "oggettivo".
Intendo dire per es., che il Galles incontrato con Berbizier, non è lo stesso Galles (la squadra che peraltro ha realizzato il grande slam nel Sei Nazioni) incontrato con Mallett.
Aggiungo che non è possibile pensare di vincere con la Nazionale, se con i Club a livello internazionale succede da anni quello che sappiamo.
C'è anzi da dire che nell'ultimo periodo ci sono stati dei segnali incoraggianti ed indicativi (e non parlo solo delle franchigie, ma anche dei Cavalieri per es., e non solo).
Quali sono poi i fattori che consentono di essere vincenti? Siamo sicuri che il vincere poco od il non vincere sia dipeso da Mallett, dalla sua competenza, dai suoi schemi, dalle sue modalità di allenamento ecc.?
Se in condizioni di vantaggio (superiorità numerica o vantaggio di posizione) si sbaglia il passaggio, se cade la palla dalle mani o si fa la scelta sbagliata, se i calci tattici o di spostamento non consentono di guadagnare terreno, di creare situazioni favorevoli, se ancora di più le percentuali di realizzazione dei piazzati è bassa, è impossibile vincere anche se difendi benissimo ed hai una mischia che fa il suo nella conquista. Quanti sono i Mirko che nei loro club, in aggiunta ai loro allenamenti dedicano ore al giorno per piazzare?
In tutto questo, qual'è la responsabilità dei Tecnici della Nazionale a partire da Mallett, ma non solo?.
Eppure il gap nei punteggi finali con Mallett è sempre stato tale da consentire di pensare che ... con un paio di possibilissimi piazzati in più ... o se quella palla non fosse caduta dalle mani .... o se anzicchè schiantarsi contro il centro e la terza avversaria avesse aperto perchè c'era il corridoio, l'uomo in più ecc... . Quante volte abbiamo fatto queste considerazioni durante la partita?!
Penso comunque che la Nazionale possa essere solo un indicatore (e non assoluto) dello stato del Movimento nel suo complesso, non solo della qualità del suo Tecnico, utile ad un'analisi che può dirsi compiuta e corretta, solo quando consente di definire i problemi in modo davvero utile, indicativo cioè dei percorsi necessari per raggiungere gli obbiettivi.
Quando, come e dove si costruisce la qualità tecnica dei giocatori? Come si può perseguire la loro crescita in termini non solo di tecnica, ma anche di esperienza situazionale, di velocità ed intensità di gioco? ecc....
A 18 anni i giochi sono già fatti, puoi solo agire con fatica e costanza per un fine tuning, un relativo affinamento qualitativo (comunque essenziale e su cui ti giochi l'alto livello vero).
Non mi stancherò mai di sostenere che affrontare il tema della Nazionale, della sua qualità e dei suoi Tecnici, non può prescindere da una analisi di tutto il movimento in tutte le sue componenti (FIR, Club, Media, ecc.) strutturali, culturali e di management.
Certamente, come peraltro con i tecnici che lo hanno preceduto, anche con Mallett la Nazionale e non solo quella, ha compiuto un significativo passo avanti assolutamente tangibile, evidente.
Purtroppo si vince poco.
Per vincere però c'è bisogno di molto di più che di un buon Tecnico della Nazionale, per quanto importante sia la sua competenza.
La strada iniziata (le Accademie per es.) sembra potere pagare con gli opportuni correttivi, da fare in progress, come sempre accade quando si percorrono o si cercano nuove strade.
Aspettiamo adesso all'appello anche le Società, le cui scelte nel complesso hanno inciso in maniera più che determinante in passato e non in maniera positiva e/o sinergica alla crescita del Movimento, a parte rare eccezioni.
Federico
Il giorno 06/dic/2010, alle ore 18.03, VolpeFast ha scritto:
> Squadre e aziende di rugby in Italia - http://www.coobiz.it/it/aziende/trova/1?q=rugby
> __________________________________________
> Interessanti come sempre gli interventi di Malfatto e Liviero sul Gazzettino.
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> Lunedì 6 Dicembre 2010,
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> Italia vincente:
> da Mallett nessun
> valore aggiunto
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> Due premesse per fugare ogni dubbio di un accanimento nei suoi confronti.
> La prima: nessuno vuole o ha mai voluto la testa del ct Nick Mallett. Ha un contratto di quattro anni con l’Italia e deve onorarlo fino al termine, se le due parti sono d’accordo. Fosse arrivato il secondo cucchiaio di legno autunnale (tre test persi) dopo quello del 2008, il presidente della Fir Giancarlo Dondi avrebbe preso in considerazione (forse) l’ipotesi di sostituirlo. La sofferta vittoria contro le Figi l’ha spazzata via. La seconda: nessuno mette o ha mai messo in discussione le qualità di Mallett come allenatore. Diciassette vittorie consecutive (record), un Tri Nations e un terzo posto al Mondiale con il Sudafrica, più due scudetti con la Stade Francais sono fatti, non parole. Nello sport un atleta, un tecnico, una squadra si misurano dai risultati, quelli conquistati da Nick lontano dall’Italia parlano da soli.
> Tali credenziali nel 2007 avevano convinto la federazione a scegliere un commissario tecnico di così alto profilo. Dopo un allenatore sui generis (Brad Johstone), un aspirante allenatore (John Kirwan) e un ex allenatore rimessosi in gioco (Pierre Berbizier), l’Italia aveva finalmente un vero allenatore, di livello mondiale. Alla scienza rugbistica di Mallett, e al lauto investimento nel suo stipendio (1,4 milioni circa in un quadriennio) si chiedeva di portare il proprio valore aggiunto per far compiere l’ulteriore salto di qualità a una Nazionale emergente, piena di entusiasmo, ma anche di problemi e lacune.
> Il salto di qualità si misura da tanti parametri ma, come per la valutazione sulla precedente carriera del ct, non può prescindere dai risultati. Nel caso dell’Italia le tante onorevoli sconfitte e i rari successi o pareggi pesanti, storici. Nelle prime Mallett ha fatto meglio dei predecessori. Grazie alla giusta attenzione posta sulla difesa non ha quasi mai subito le “pagate” del passato. Nei secondi la sua Italia ha fatto un passo indietro rispetto a quella di Berbizier, invertendo un progresso prima costante. Il dato emerge dal confronto fra i “record omogenei” dei quattro ct. Maturati cioè solo contro le 12 rivali di spessore che certificano i progressi azzurri: quelle del Sei Nazioni (Inghilterra, Francia, Irlanda, Galles, Scozia), le grandi del Sud (Nuova Zelanda, Sudafrica, Australia, Argentina) e le isole del Pacifico (Figi, Samoa, Tonga). Su Tonga si può discutere, ma allora pure su Samoa (con entrambe non abbiamo mai vinto prima dell’era Sei nazioni) e comunque la sostanza non cambia di molto.
> Berbizier in 23 partite ha ottenuto 6 risultati utili (26%): Galles (2), Scozia, Argentina, Figi, Tonga (22% escludendo quest’ultima). Mallett 5 (16%) in 31 partite: Scozia (2), Argentina, Figi, Samoa. Kirwan 3 (14%) in 21 partite: Galles, Scozia e Tonga (10% senza). Johnstone 2 (8%) in 23 partite: Scozia, Figi. Oltre ai numeri il confronto Berbizier-Mallett pende a favore del francese per altri fattori. Nessun cucchiaio di legno e una doppietta nel Sei Nazioni contro rispettivamente uno e zero; tre risultati utili in trasferta (Galles, Scozia, Argentina) a uno (Argentina); tre storiche prime volte (in Argentina, Scozia e Galles) a una (Samoa). E in fatto di talenti anche Berbizier aveva apertura Pez/Scanavacca e mediano di mischia Griffen (4 volte su 6), non Dominguez-Troncon.
> Il valore aggiunto apportato dal grande tecnico Mallett a livello di vittorie o pareggi pesanti, storici, non c’è quindi stato in tre stagioni. L’Italia non è progredita dall’era Berbizier. Nick ha ancora un Sei Nazioni e un Mondiale da giocarsi per invertire la tendenza. Basta poco…
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> Ivan Malfatto
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> Lunedì 6 Dicembre 2010,
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> All Blacks, una miscela
> di movimento e cinismo
> Ma non sono invincibili
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> Come prevedibile gli All Blacks, sconfiggendo l’altro sabato il Galles (37-25), hanno chiuso la loro strepitosa stagione con un nuovo Grande Slam delle Isole britanniche. In precedenza avevano battuto l’Inghilterra (26-16), la Scozia (49-3) e l’Irlanda (38-18). Ci avevano messo 73 anni per realizzare il primo, nel ’78. Poi dal 2004 ad oggi ne hanno centrati addirittura tre. Segno oltre che del divario con l’emisfero Nord, della classe di McCaw e compagni che quest’anno di Grandi Slam ne hanno fatti addirittura 2 vincendo tutte le sei partite del Tri-Nations con il record di mete (22) e di punti (184).
> La rinascita neozelandese, dopo un 2009 in cui avevano toccato il fondo, ha fatto segnare un decisivo salto di qualità sul piano dello spettacolo: si è passati dal grigio pragmatismo dei sudafricani al movimento impastato di ritmo dei Kiwi esaltato da una linea di trequarti tecnicamente (e fisicamente) straordinaria alla quale si è aggiunto la nuova stella Sonny Bill Williams i cui off loads consentono già in prima fase di giocare con facilità negli spazi e dentro la difesa. Il 75% delle loro mete partono da lontano, spesso su contrattacco e da palloni di recupero di cui il trio infernale Kaino-Read-McCaw è specialista nelle gioco a terra a terra. Ma la forza di questa squadra sta anche nel ritmo che il triangolo esterno dà alle azioni, logorando fisicamente gli avversari. In un mentale di ferro che li porta a reagire nei momenti difficili (+10 in inferiorità numerica a Cardiff) e in una certa dose di cinismo: castigano ogni errore e raramente sprecano un’occasione.
> Eppure questa stagione così piena di trionfi non ha dato l’immagine di una macchina da gioco invincibile. Intanto perchè sono stati battuti dall’Australia ad Hong Kong e lo sarebbero stati anche a Sidney se Giteau non avesse gettato 10 punti al piede. La stessa Inghilterra ha dato l’impressione di potercela fare. E c’è dell’altro: una mischia che non domina e che fatica a trovare il sostituto di Hayman. Una touche non così sicura. E la dipendenza da alcuni giocatori, non solo Carter e McCaw, ma anche Kaino e Mealamu senza sostituti all’altezza.
> Gli inglesi dicevano che il "vero" rugby, cioè quello tattico, speculativo, collettivo e non "ingenuamente tutto alla mano" gli All Blacks lo avrebbero incontrato solo in Europa. Non mi pare che sia accaduto e nemmeno che le europee abbiamo portato minacce particolarmente serie. Però non è detto che alla Coppa del mondo un certo rugby old-style non riaffiori, magari accompagnato da un ulteriore salto di intensità. La vittoria del Sudafrica a Twickenham lascia intuire sviluppi in questa direzione.
> E poi non dimentichiamo che gli All Blacks avranno la pressione di un imbarazzante record negativo da sfatare: quello di squadra che ha perso più mondiali da favorita. L’unico lo ha vinto (il primo, in casa) da outsider. Quando entrano in conclave da papi escono regolarmente da cardinali. E anche adesso stanno giocando da papi. E che papi.
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> Antonio Liviero
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> http://www.rugbylist.it/mailman/options/rugbylist
Il giorno 06/dic/2010, alle ore 18.03, VolpeFast ha scritto:
> Squadre e aziende di rugby in Italia - http://www.coobiz.it/it/aziende/trova/1?q=rugby
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> Interessanti come sempre gli interventi di Malfatto e Liviero sul Gazzettino.
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> La prima: nessuno vuole o ha mai voluto la testa del ct Nick Mallett. Ha un contratto di quattro anni con l’Italia e deve onorarlo fino al termine, se le due parti sono d’accordo. Fosse arrivato il secondo cucchiaio di legno autunnale (tre test persi) dopo quello del 2008, il presidente della Fir Giancarlo Dondi avrebbe preso in considerazione (forse) l’ipotesi di sostituirlo. La sofferta vittoria contro le Figi l’ha spazzata via. La seconda: nessuno mette o ha mai messo in discussione le qualità di Mallett come allenatore. Diciassette vittorie consecutive (record), un Tri Nations e un terzo posto al Mondiale con il Sudafrica, più due scudetti con la Stade Francais sono fatti, non parole. Nello sport un atleta, un tecnico, una squadra si misurano dai risultati, quelli conquistati da Nick lontano dall’Italia parlano da soli.
> Tali credenziali nel 2007 avevano convinto la federazione a scegliere un commissario tecnico di così alto profilo. Dopo un allenatore sui generis (Brad Johstone), un aspirante allenatore (John Kirwan) e un ex allenatore rimessosi in gioco (Pierre Berbizier), l’Italia aveva finalmente un vero allenatore, di livello mondiale. Alla scienza rugbistica di Mallett, e al lauto investimento nel suo stipendio (1,4 milioni circa in un quadriennio) si chiedeva di portare il proprio valore aggiunto per far compiere l’ulteriore salto di qualità a una Nazionale emergente, piena di entusiasmo, ma anche di problemi e lacune.
> Il salto di qualità si misura da tanti parametri ma, come per la valutazione sulla precedente carriera del ct, non può prescindere dai risultati. Nel caso dell’Italia le tante onorevoli sconfitte e i rari successi o pareggi pesanti, storici. Nelle prime Mallett ha fatto meglio dei predecessori. Grazie alla giusta attenzione posta sulla difesa non ha quasi mai subito le “pagate” del passato. Nei secondi la sua Italia ha fatto un passo indietro rispetto a quella di Berbizier, invertendo un progresso prima costante. Il dato emerge dal confronto fra i “record omogenei” dei quattro ct. Maturati cioè solo contro le 12 rivali di spessore che certificano i progressi azzurri: quelle del Sei Nazioni (Inghilterra, Francia, Irlanda, Galles, Scozia), le grandi del Sud (Nuova Zelanda, Sudafrica, Australia, Argentina) e le isole del Pacifico (Figi, Samoa, Tonga). Su Tonga si può discutere, ma allora pure su Samoa (con entrambe non abbiamo mai vinto prima dell’era Sei nazioni) e comunque la sostanza non cambia di molto.
> Berbizier in 23 partite ha ottenuto 6 risultati utili (26%): Galles (2), Scozia, Argentina, Figi, Tonga (22% escludendo quest’ultima). Mallett 5 (16%) in 31 partite: Scozia (2), Argentina, Figi, Samoa. Kirwan 3 (14%) in 21 partite: Galles, Scozia e Tonga (10% senza). Johnstone 2 (8%) in 23 partite: Scozia, Figi. Oltre ai numeri il confronto Berbizier-Mallett pende a favore del francese per altri fattori. Nessun cucchiaio di legno e una doppietta nel Sei Nazioni contro rispettivamente uno e zero; tre risultati utili in trasferta (Galles, Scozia, Argentina) a uno (Argentina); tre storiche prime volte (in Argentina, Scozia e Galles) a una (Samoa). E in fatto di talenti anche Berbizier aveva apertura Pez/Scanavacca e mediano di mischia Griffen (4 volte su 6), non Dominguez-Troncon.
> Il valore aggiunto apportato dal grande tecnico Mallett a livello di vittorie o pareggi pesanti, storici, non c’è quindi stato in tre stagioni. L’Italia non è progredita dall’era Berbizier. Nick ha ancora un Sei Nazioni e un Mondiale da giocarsi per invertire la tendenza. Basta poco…
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> La rinascita neozelandese, dopo un 2009 in cui avevano toccato il fondo, ha fatto segnare un decisivo salto di qualità sul piano dello spettacolo: si è passati dal grigio pragmatismo dei sudafricani al movimento impastato di ritmo dei Kiwi esaltato da una linea di trequarti tecnicamente (e fisicamente) straordinaria alla quale si è aggiunto la nuova stella Sonny Bill Williams i cui off loads consentono già in prima fase di giocare con facilità negli spazi e dentro la difesa. Il 75% delle loro mete partono da lontano, spesso su contrattacco e da palloni di recupero di cui il trio infernale Kaino-Read-McCaw è specialista nelle gioco a terra a terra. Ma la forza di questa squadra sta anche nel ritmo che il triangolo esterno dà alle azioni, logorando fisicamente gli avversari. In un mentale di ferro che li porta a reagire nei momenti difficili (+10 in inferiorità numerica a Cardiff) e in una certa dose di cinismo: castigano ogni errore e raramente sprecano un’occasione.
> Eppure questa stagione così piena di trionfi non ha dato l’immagine di una macchina da gioco invincibile. Intanto perchè sono stati battuti dall’Australia ad Hong Kong e lo sarebbero stati anche a Sidney se Giteau non avesse gettato 10 punti al piede. La stessa Inghilterra ha dato l’impressione di potercela fare. E c’è dell’altro: una mischia che non domina e che fatica a trovare il sostituto di Hayman. Una touche non così sicura. E la dipendenza da alcuni giocatori, non solo Carter e McCaw, ma anche Kaino e Mealamu senza sostituti all’altezza.
> Gli inglesi dicevano che il "vero" rugby, cioè quello tattico, speculativo, collettivo e non "ingenuamente tutto alla mano" gli All Blacks lo avrebbero incontrato solo in Europa. Non mi pare che sia accaduto e nemmeno che le europee abbiamo portato minacce particolarmente serie. Però non è detto che alla Coppa del mondo un certo rugby old-style non riaffiori, magari accompagnato da un ulteriore salto di intensità. La vittoria del Sudafrica a Twickenham lascia intuire sviluppi in questa direzione.
> E poi non dimentichiamo che gli All Blacks avranno la pressione di un imbarazzante record negativo da sfatare: quello di squadra che ha perso più mondiali da favorita. L’unico lo ha vinto (il primo, in casa) da outsider. Quando entrano in conclave da papi escono regolarmente da cardinali. E anche adesso stanno giocando da papi. E che papi.
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