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[RUGBYLIST] Rugby Club
allrugby
allrugby a gmail.com
Mer 23 Set 2009 10:34:11 CEST
Rugby Club: come riporta la dicitura, si tratta del "Magazine del
rugby triveneto". La periodicità è trimestrale (esce a fine marzo,
giugno, settembre e dicembre).
Anche se sicuramente qualcuno in list avrà avuto modo di leggerlo,
vorrei dare qualche indicazione che ritengo utile.
La redazione si trova a Roveredo In Piano (PN) - tel. e fax
0434/960243 - ed alla rivista collaborano i nominativi più prestigiosi
del giornalismo rugbistico nazionale.
La direzione è nelle mani di Piergiorgio Grizzo. Nel ruolo di
direttori editoriali operativi, che decidono i contenuti e la linea
del magazine, ci sono due ns. "vecchie" conoscenze: Antonio Liviero,
che coordina la sezione "inchieste e reportage" ed Ivan Malfatto che
si occupa dell'attualità.
Oltre a Liviero e Malfatto, tanto per citare qualche altro, troviamo
Ennio Grosso, Elvis Lucchese, Marco Pastonesi, Gianpaolo Tassinari,
Lia Capizzi, Walter Pigatto.
Collaborano alla rivista, tra gli altri, anche Luca Tramontin, Antonio
Raimondi, Daniela Scalia, Stefano Bettarello, Natale Cadamuro.
Per l'abbonamento alla rivista, che è molto ben curata dal punto di
vista tecnico, grafico e fotografico, si può telefonare per
informazioni al numero sopra indicato oppure, collegandosi al sito
www.rugbyclub.it, seguire le indicazioni in tal senso.
Il magazine esce anche in edicola.
Riporto, infine, un "preview" del n° 9 a firma Antonio Liviero.
Ciao.
Franco (TV)
FUORI ONDA
In Italia la seconda linea d'attacco non si radica. Difficoltà dai molti perchè.
Di Antonio Liviero
La seconda linea d’attacco è fondamentale nel rugby moderno, mi dice
Jacques Brunel durante un’amabile conversazione tra filari di vite
nella campagna trevigiana. Sulle prime sono un po’ scettico. Perché
altri mi sembrano i problemi del gioco e i mezzi più efficaci per la
soluzione. Ma siccome l’allenatore del Perpignan ne parla con la voce
bassa e profonda del viticoltore che conosce il segreto impasto del
terreno, mi dispongo alla meditazione sul tema.
La seconda linea d’attacco, o “vague” (onda) come la chiamano i
francesi, è una risposta al pressing difensivo. Un gioco di specchi,
di sottili inganni, allo scopo di aprire un varco o almeno indebolire
la linea, facendo credere una cosa per poi farne un’altra. Fino a
qualche tempo fa si teneva conto delle opzioni classiche: prendere
l’intervallo, andare in percussione o cercare il soprannumero esterno.
Ma negli ultimi anni nell’emisfero australe si è fatta strada
un’alternativa basata sull’organizzazione collettiva per seminare il
dubbio sulle intenzioni degli attaccanti. Prima sono comparsi, sul
modello del rugby a tredici, dei finti sostegni i quali fanno
intendere che prenderanno il pallone per attirare su di sé un paio di
avversari e liberare spazi altrove. Poi si è passati a suddividere gli
attaccanti su una seconda linea separata. Semplificando: la prima
linea d’attacco orienta e impegna la difesa, la seconda, più spostata
all’esterno, porta l’azione dove si è aperto lo spazio.
In prima fase la seconda onda offensiva si forma soprattutto con i
trequarti ed eventualmente, da touche, con i flanker. Il triangolo
interno va a ipnotizzare la difesa mentre le ali, l’estremo e in certi
casi l’apertura dopo che ha passato la palla, costituiscono il secondo
livello offensivo. Il primo centro diventa il playmaker, lo snodo
della giocata. Sta a lui decidere se calciare, attaccare direttamente
la difesa, passare al secondo centro, chiamare una penetrazione
interna o esterna. Oppure innescare la seconda ondata.
Invece nelle fasi dinamiche, in particolare nelle sequenze lunghe,
avanti e trequarti sono mescolati ed esistono pertanto diverse
possibilità di composizione dello schieramento. Però subentrano altri
fattori: contano l’esito della prima fase o comunque di quella
precedente, il consumo di giocatori in zona di placcaggio, la pazienza
nell’attendere che si apra un varco all’interno o si concretizzi un
soprannumero laterale.
Anche in questo gli All Blacks sono stati un modello. Maestri
dell’off-load e del basso consumo di giocatori in zona di placcaggio,
hanno stupito l’anno prima della Coppa del mondo in Francia per la
loro organizzazione nel ripiazzamento offensivo: non solo sostegni
sistemati sulla larghezza ma anche sull’asse profondo. Qualche
giocatore lateralmente, 2 o 3 raggruppati in profondità per
presentarsi insieme e all’improvviso di fronte a un solo avversario.
In Italia le cose vanno assai meno bene. La Nazionale, lo schema lo
conosce. Cariat lo ha fatto provare in allenamento e in partita. Ma
con risultati imbarazzanti. Quando è andata bene non si è prodotto
alcuno squilibrio difensivo, alcun effetto sorpresa. Quando è andata
male (come contro l’Argentina a Torino) la seconda linea d’attacco è
stata regolarmente impattata nella propria metacampo, regalando
terreno, possessi e punizioni.
Non è che le cose vadano tanto meglio in campionato. Nelle semifinali
scudetto ho visto la seconda linea inserita rare volte. Dopo la
partita Calvisano-Treviso ne ho discusso con l’allenatore dei
bresciani Marc Delpoux davanti a una birra: «Quando la pressione è
tanta, come nelle semifinali o nelle finali, è sempre difficile
utilizzare una seconda linea d’attacco – spiega l’allenatore francese
-. Soprattutto di fronte a una difesa rovesciata con salita alta di
uno dei centri che va verso il pallone. Sulle sequenze lunghe poi le
difficoltà aumentano a causa dei troppi problemi che ci sono in Italia
nelle gestione dei punti d’incontro. Problemi di pulizia, di
liberazione rapida della palla, di interpretazione delle regole. Non è
solo questione di arbitraggio. Tutti dovremmo lavorare a fondo questo
settore del gioco. Perché se perdi l’impatto, e i palloni sono lenti,
l’attacco è compromesso, non ci può essere nessuna seconda linea
offensiva e non resta che calciare».
Ma non tutti gli allenatori la pensano allo stesso modo. E se le linee
sono due i modi di applicazione possono essere di più. C’è chi usa la
prima in funzione della seconda. Ma anche chi fa il contrario e
ribalta il ragionamento: faccio credere che utilizzo una seconda onda
di attaccanti, in realtà colpisco direttamente con la prima. E c’è
naturalmente chi fa ora l’una ora l’altra cosa. Poi c’è Pierre
Villepreux che è un sincero estimatore di questo mezzo tattico, ma in
termini di continuità di gioco. Lo contempla cioè quando la prima
linea viene bloccata e la palla rallentata. «Solo in questo caso –
dice Pierre – un secondo schieramento di attaccanti crea le condizioni
per un nuovo squilibrio difensivo. Ma se lo squilibrio l’ho già
prodotto, va sfruttato subito, non c’è bisogno di una seconda onda.
Mentre è utile se la difesa è ripiazzata».
Le complicazioni possono essere più d’una. Stando sia al ragionamento
di Villepreux che di Delpoux un rischio (dell’Italia ad esempio) è
quello di innescare la seconda linea d’attacco indipendentemente dal
fatto che se ne siano create le condizioni, oppure quando sulla linea
di difesa si è aperto uno spazio inatteso che dovrebbe essere invece
sfruttato direttamente. In entrambi i casi l’applicazione “stupida”
dello schema è controproducente. Perché sia efficace una seconda linea
dovrebbe essere operativa in adattamento alla difesa, all’interno
della cosiddetta intelligenza situazionale. E per poter fare questo
occorrono riferimenti comuni chiari sia sul piano della comunicazione
che organizzativo. Questioni piuttosto complesse.
Un altro ruolo cardine è quello del portatore della palla, dello
scambiatore tra le due linee. Oltre che padroneggiare i fondamentali e
possedere una corretta capacità di leggere il gioco, deve essere bravo
dell’off-load: capace di rimanere in piedi sul contatto, essere sicuro
nel passaggio, dare il giusto timing alla trasmissione, stare ben
attento a non farsi intercettare qualora egli stesso decida di
innescare direttamente la linea più arretrata. Quanti sono in Italia i
giocatori con queste caratteristiche?
È inoltre necessario che a loro volta gli attaccanti del secondo
livello siano tempisti: non devono solo dissimulare fino all’ultimo lo
schieramento (oppure il contrario se l’obiettivo è fare da esca) e
prendere profondità ma scegliere il tempo giusto per inserirsi.
L’obbligo di non anticipare troppo la formazione della seconda onda
vale anche nei contrattacchi quando gli occhi dei difensori sono sul
pallone ed è bene che vi rimangano fino all’ultimo.
Ecco perché questa scelta tattica è piena di incognite. Un’opzione che
va allenata assiduamente. Una tattica difficile. Certo se funziona si
possono fare sfracelli.
Va considerato attentamente quanto dice Brunel: «In generale per
inserire con successo una seconda linea d’attacco è necessario che la
prima sia riuscita a squilibrare la difesa. Però è anche vero che se
la difesa prende momentaneamente il sopravvento in una posizione del
campo, di sicuro si sta disorganizzando da un’altra parte. Allora se
chi attacca è più forte può cercare la soluzione altrove, anche sotto
pressione. Mentre conviene di solito calciare quando c’è parità di
forze e l’opposizione non si disorganizza».
La questione, fermo restando la complessità del mezzo tattico, diventa
allora quella legata alla qualità degli uomini a disposizione. Ma
anche all’agenda di lavoro di una squadra. Cioè alla mole di problemi
di gioco e organizzativi da risolvere. E al tempo disponibile.
Antonio Liviero
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