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[RUGBYLIST] All Blacks al Beccaria
allrugby
allrugby a gmail.com
Gio 3 Dic 2009 12:24:40 CET
La notizia che ho riportato dal Gazzettino del 02/12/09 è ancor più
sviluppata dal Sole 24 ore del 01/12/09.
Eccola, a completamento dell'informazione.
Ciao.
Franco (TV)
Gli All Blacks al Beccaria
mettono il cuore in mischia
di Giacomo Bagnasco
Il gigante venuto dall'altra parte del mondo pesa 127 chili, ha la
pelle scura, un orecchino e 11 tatuaggi. Si chiama Neemia Tialata, è
un All Black, cioè un nazionale neozelandese di rugby, ma non
dimentica le sue origini samoane e nemmeno qualcosa di più importante.
Dopo l'incontro con i giovani detenuti del Beccaria, il carcere
minorile di Milano, si guarda attorno e dice: "Da adolescente mi
mettevo sempre nei guai, avrei potuto benissimo finire in un posto
come questo. Il rugby è stato la mia prima chance, mi ha salvato.
Questi ragazzi, invece, meritano una seconda chance".
Lui, assicura, ha messo il cuore in questa visita. E lo stesso hanno
fatto Anthony Boric, Liam Messam, Jerome Kaino e Stephen Donald, gli
altri rappresentanti del gruppo che ha nuovamente conquistato
l'Europa. Quattro partite, quattro vittorie, le gerarchie mondiali
risistemate con la Nuova Zelanda tornata al primo posto. Ma oggi non
c'erano supremazie planetarie in ballo. Gli All Blacks sono entrati al
Beccaria timidi e silenziosi, ne sono usciti sorridenti, consapevoli
di non essere venuti meno a uno degli elementi fondamentali del rugby:
il sostegno.
Il contatto è avvenuto tramite Iveco e Adidas, che sono sponsor della
federazione noezelandese e - insieme con Edison - sono anche i partner
del progetto "Il senso di una meta" partito poco più di un anno fa.
Volontari dell'Asr Milano, società rugbystica particolarmente attiva a
livello di formazioni giovanili, vanno nelle scuole, per un lavoro
legato alla psicomotricità, e vanno anche al Beccaria. Propongono uno
sport, il rugby, che prevede il contatto fisico nell'ambito di regole
ben precise, che è fatto soprattutto di azioni corali e non di spunti
individuali. "Sono quasi una cinquantina - racconta l'educatrice Paola
Prandini - i ragazzi che hanno provato questa disciplina. Rispetto ad
altri sport già praticati qui (come il calcio, con la squadra del
Beccaria che gioca, sempre tra le mura del carcere, il campionato
della Uisp, ndr), il rugby valorizza di più gli aspetti del gruppo, ti
insegna che non ha importanza essere continuamente in prima fila e che
i risultati si raggiungono insieme".
Ignacio Merlo, italo-argentino, terza linea dell'Asr e capo-allenatore
al Beccaria, è raggiante. Dicono che ha trovato la formula ideale
interagire al meglio con questi atleti particolari appena guadagnati
al rugby. "C'è da tenere la disciplina trovando il punto di equilibrio
con il divertimento, che non può mai mancare - spiega -. Qui dentro il
leader è quello che si mette più in mostra o fa il prepotente. Ma
nello sport il rispetto si guadagna in un altro modo, e anche
farglielo capire è uno dei nostri compiti".
Tra quelli che sono usciti, tre hanno continuato a giocare a rugby e
uno ha trovato lavoro. "Come meccanico e con ottimi risultati",
sottolinea Marco Monacelli, brand communication director di Iveco, che
ha inserito il giovane nella propria concessionaria milanese. Winand
Krawinkel, direttore marketing di Adidas Italia, parla degli All
Blacks come portatori di valori che vanno al di là dei risultati e
promuove l'iniziativa dell'Asr Milano: "Una grande idea che va oltre
il tempo trascorso dai ragazzi in carcere. Spesso, quando escono, si
ritrovano soli: lo sport può dare loro una base, un senso".
Gli ospiti del Beccaria, giovani tra i 16 e i 19 anni, sono
entusiasti. Uno rompe il ghiacchio: "Dovete allenarvi con noi: avete
paura?". Figurarsi. Poi via sul campo, dove rimangono - con la
maglietta rossa e i pantaloncini bianchi - solo i ragazzi che
partecipano effettivamente all'attività rugbystica. Dopo giorni di
tempo infame c'è il sole, e qualcuno pensa che ci sia lo zampino del
dio del rugby. Riscaldamento, partitella, qualche touche e qualche
mischia con i campioni. C'è il corridoio a fine partita e,
soprattutto, c'è il terzo tempo, preparato dai giovani detenuti.
Seduti al tavolo con l'uno e con l'altro, tempestano gli All Blacks di
domande. Tialata è il più ricercato, ha sempre un capannello attorno.
Mostra i tatuaggi, ne spiega il significato grazie a interpreti
improvvisati, ha parole di coraggio per i ragazzi. "Per Natale esco",
gli fa uno. E poi si scusa quando arriva il momento di tornare "in
stanza".
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