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[RUGBYLIST] Notizie del lunedì

allrugby allrugby a gmail.com
Lun 22 Set 2008 13:14:00 CEST


Il Gazzettino riprende a pubblicare qualcosa sul rugby. Riporto il tutto.
Ciao.
Franco (TV)

Il suo allenatore nelle giovanili del Benetton, Gianni Salamon, ha
sempre detto di lui: «È di Zerobranco, ma sembra nato a Rovigo: ha
l'aggressività innata dei rugbisti di quella terra». Il medico sociale
della FemiCz Bruno Piva racconta: «Sabato prima del match contro
Calvisano si sentiva fiacco, mi ha detto se gli davo qualcosa. Gli
dato dei fermenti lattici. A fine partita, dopo 20 placcaggi e una
meta, gli ho chiesto: per fortuna eri debole, se stavi bene cosa
avresti combinato?». La presidentessa rossoblu Susanna Vecchi alla
cena della squadra, sotto le gradinate del "Battaglini", l'ha preso in
giro: «Veramente di placcaggi ne hai fatti 19, il ventesimo l'hai
sbagliato, come mai?».
Il centro di tutte queste attenzioni è Simone Favaro, 20 anni a
novembre, flanker e grande promessa del rugby italiano. Ha debuttato
nel Groupama Super 10 a Padova e sabato è stato protagonista del 46-16
(vittoria più larga di sempre) con cui la FemiCz ha spazzato via i
campioni d'Italia del Cammi Calvisano nel 2. turno di campionato.
Favaro e coetanei della classe '88 (Andrea De Marchi, Andrea
Bacchetti) nei due match sempre schierati nel XV sono il simbolo di
questo Rovigo che cerca di rialzare la testa battendo la strada dei
giovani italiani. Contro il Calvisano Simone è stato di una
consistenza impressionante per l'età nel mettere pressione ai rivali e
ha segnato la meta che ha suggellato il punteggio. «Niente di speciale
- spiega con umiltà - Era una touche fuori dai loro 22 metri. Il
seconda linea del Cammi ha sbagliato lo schiaffetto per il mediano, mi
sono infilato, ho recuperato palla e sono corso dentro». Semplice, ma
solo per chi ha l'istinto del cacciatore di palloni e di uomini come
lui, sempre secondo quanto racconta Salamon che l'ha allenato per
anni.

Un altro tecnico più famoso, Nick Mallett, in tal senso è rimasto
folgorato la prima volta che l'ha visto. «Amichevole Italia under
20-Capitolina - racconta il ct azzurro - Ho visto uno dei ragazzi
spiritato fare 25 placcaggi e non fermarsi mai. Chi è, ho chiesto al
mio staff?». La risposta è stata Favaro, of course. Che lì ha iniziato
a costruirsi la fama di uomo nato per placcare. «Placcare è il mio
modo di parlare con l'avversario. È il mio punto di contatto con lui.
Come succede ai piloni nell'ingaggio in mischia, è la mai maniera di
dirgli: ora ti faccio vedere io...» abbozza Favaro una prima
spiegazione esistenziale. Poi passa all'analisi più tecnica: «Sono
favorito dal mio ruolo di flanker nel lato aperto. Gli avversari
attaccano gli spazi nel punto dove c'è la divisione fra i due blocchi,
mischia e trequarti, e io sono lì. Fermarli è il mio lavoro. Se ci
riesco non è solo merito mio, ma della giusta comunicazione con i due
mediani e della copertura garantita dal numero 8. Il placcaggio è un
meccanismo di squadra, non solo un'attitudine individuale. Io comunque
l'ho sempre curato. È il mio punto di forza, ma ho ancora molto da
migliorare».

Intanto lui stesso è già, pur così giovane e solo alla 2. presenza in
Super 10, un punto di forza di Rovigo. Una squadra e una città che
sembrano essergli cuciti addosso. «Per la prima volta giocavo al
Battaglini e non mi sono mai sentito così gasato - esclama - Il
pubblico è caldo dentro e fuori del campo, durante e dopo la partita.
Credo sia la piazza ideale per il mio carattere, per divertirmi
giocando e per crescere». Una piazza a cui la sua aggressività e
mobilità ricordano il Flaviano Brizzante prima maniera, attuale
allenatore della mischia. E dove Favaro ha già messo radici entrando
in sintonia con il gruppo, altra parola d'ordine in casa Femi Cz.
«Nella mia famiglia - conclude - è tradizione farsi un regalo il primo
stipendio che prendi. Io mi sono comprato un pappagallo, per
l'appartamento dove vivo. L'ho chiamato Pablo, perchè è vivace e
rompiballe come Calanchini...e gli somiglia pure un po'. Con Di Maura
e i compagni gli stiamo insegnando a parlare». Vuoi vedere che la
prima parola che dirà sarà rugby? La forza di una squadra si vede
anche da qui.

Ivan Malfatto
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So'oialo, il pony nero che ha zittito gli scettici

Il più famoso è McCaw, capitano e icona. L'ultimo arrivato si chiama
Kaino. E per lui basta il nome. Tra i due c'è So'oialo, terminale del
pack e miglior numero otto del Tri-Nations da poco concluso. Insieme
formano la terza linea della Nuova Zelanda e la pasta madre del suo
gioco. Ma se McCaw è la stella e Kaino la novità che non ha fatto
troppo rimpiangere la partenza per la Francia di Collins, So'oialo è
un sopravissuto alle critiche feroci. L'uomo della rivincita. L'eroe
di un torneo che ha sancito la sua definitiva consacrazione in uno dei
posti più difficili e discussi al mondo: quello di terza linea centro
degli All Blacks. Oggi a 29 anni è più di ogni altro l'uomo ovunque
della squadra. E nella finale di Brisbane ha messo le mani in tutte le
azioni decisive.
Ma a dispetto del viso da bravaccio manzoniano, con l'occhio torvo e i
capelli rasta al vento, neri come la notte, So'oialo all'inizio non
veniva accreditato della classe e, soprattutto, dei mezzi fisici (1,90
per 100 chili) necessari per reggere il timone della mischia. Gravava
su di lui, samoano trapiantato a Wellington, il passato nel rugby a 7,
l'immagine del pony da circo capace di dare spettacolo solo in
situazioni a bassa intensità. I tifosi furono scettici sul suo conto
fin dagli esordi, nel 2002 contro il Galles. Il giorno più buio arrivò
nel 2006 in Sudafrica, nell'ultimo test di un Tri Nations già vinto.
Una di quelle partite in cui tutto va storto e persino la fetta di
pane che afferri nel terzo tempo ti cade dalla parte della marmellata.
Nell'ordine: si fece intercettare il passaggio che lanciò in meta
Habana, ostacolò involontariamente il compagno di squadra Hore
impedendogli di segnare nel momento cruciale e nel finale commise il
fallo che diede a Pretorius la punizione della vittoria. Finì 21-20
per gli Springboks, unica macchia di una stagione altrimenti perfetta.
E siccome i neozelandesi per le loro rare sconfitte sono avvezzi alla
ricerca del capro espiatorio, le critiche lo fecero a pezzi.

Rodney ha reagito in silenzio, lavorando duro. Ha messo su quattro
chili di muscoli, ha forgiato un mentale di ferro. Alla fine ha fatto
ciò di cui quasi nessuno lo riteneva capace. «E' cresciuto come
persona e come giocatore, aumentando il valore della squadra» gli ha
riconosciuto Steve Hansen, il tecnico degli avanti. Nel 2007 il brutto
anatroccolo che un tempo starnazzava accanto ai cigni McCaw e Collins,
ha prodotto una metamorfosi tale da zittire i detrattori: impatti di
alto livello palla in mano, rapidità di gambe finalmente sfruttata al
meglio, attacchi da entrambi i lati della linea del vantaggio.

Ha atteso con impazienza il ritorno nella terra che lo aveva
precipitato in una situazione da incubo per mutare il proprio destino
e farne il luogo della personale resurrezione. E a Durban lo scorso
anno ha sbalordito con una prestazione memorabile. Era dalla partita
di Mexted contro la Scozia nel 79 che i neozelandesi non vedevano un
numero otto giocare in quel modo: una miscela esplosiva di fisicità,
virtuosismo e senso tattico. Al 69' So'oialo ha calciato a seguire e
recuperato il pallone. Poi con una corsa intessuta di finte e giochi
di appoggi degni di un'ala ha evitato un placcaggio dopo l'altro per
servire infine uno squisito off-load a Collins. Dal raggruppamento
successivo è arrivata la meta di McCaw: 26-21. Fine dei dibattito
sulla sua maglia.



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