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Re:[RUGBYLIST] Chi gà vinto?
gigi10853 a libero.it
gigi10853 a libero.it
Mar 11 Mar 2008 06:16:31 CET
Ho visto e apprezzato molto anch'io il servizio di Paolini, mi ha riportato indietro nel tempo.
Il rischio di perdita dei valori del rugby come lo abbiamo vissuto noi, rispetto a quello professionistico di oggi, a mio avviso, è molto relativo.
Il rugby, per affermarsi e colpire una base sempre più ampia ha bisogno delle platee, della tv, dei madia, e questo porta alla "cipria sulle chiappe", anzichè al fango che avevamo noi, ma è solo un'impressione di origine calcistica.
Per quanti giocatori vale qusto discorso?
Solo per i grandi giocatori che accendono le platee.
Per un movimento di vertice che ha bisogno anche di questo c'è una base che deve, nelle intenzioni almeno, diventare sempre più allargata.
Di squadre in top ten ce ne sono 10, appunto, su quasi 600 club in tutta Italia.
E le altre che non sono in top ten?
Per loro, la grande maggioranza di loro, il "fango sulle chiappe" è la realtà di ogni giorno, e quei giocatori che, in una base allargata, arriveranno in futuro al top, saranno comunque prevalentemente partiti da una qualche società minore, il fango lo avranno provato per anni, prima di arrivare alla cipria.
D'altra parte il rugby è uno sport duro, fatto di tanto lavoro, di sacrifici, di capacità di sopportare fatica, botte, dolore, c'è poco spazio per le prime donne, anche i Wilkinson, cioè i giocatori di regia, nel rugby attuale devono placcare ed entrare in ruck e maul, all'occorrenza.
Se non si ha la mentalità giusta, quella appunto del fango sulle chiappe, della cultura della fatica e del sacrificio, non si arriva a quel livello e quindi la selezione è automatica.
Il rugby non è il calcio, non c'è spazio per isterismi e divismi e non credo proprio che si stia correndo quel tipo di rischio, nè ora nè mai.
Pierluigi Filios
>
> In genere non intervengo nella list, mi permetto però di considerare, a livello personale, che la cosa più interessante di domenica non è stata la partita bensì il documentario di Paolini che l'ha preceduta e di cui poco si è parlato. Se mi posso permettere un'osservazione ho apprezzato molto, oltre la nota competenza e passione dell'autore, l'approccio etnografico (deformazione professionale) che caratterizza i momenti in cui si pone le domande e prova a cercare le risposte andando "sul campo" in tutti i sensi: il perchè della geografia "a macchie" che caratterizza il rugby italiano (ma anche mondiale, si pensi solo alle molteplici teorie espresse dagli studiosi francesi sulla diffusione nel "midi"), l'estrazione sociale, la struttura del gruppo, la percezione di un mondo (il rugby amatoriale ed il suo "ethos") in pericolo. Temi certo appena sfiorati, vista la brevità del filmato, ma penso che molti "vecchi" giocatori, quale anch'io sono, in certi momenti abbiano provato un po' di nostalgia. E la list stessa, quando esprime la serie di mail "mi manca il rugby..." è la riprova della sensazione che un certo sistema di relazioni sta svanendo, sostituito da un altro. Soprattutto, il confronto tra il breve documentario di Paolini e le parole di Guazzini che arrivavano pochi istanti dopo da Parigi hanno dato l'dea della frattura, destinata ad allargarsi, tra le due visioni. Per parafrasare i sociologi d'oltremanica, da un lato il "Play", dall'altro il "Display", il gioco e lo spettacolo, il passaggio da "gioco per i giocatori" a "esibizione per gli spettatori". O volessimo usare un registro diverso e più diretto, sicuramente più caro a molti listaroli, la differenza tra l'avere, sulle chiappe, il fango o la cipria. E il titolo (Chi gà vinto?), visto da questa prospettiva, è quantomai pertinente e indovinato.
> Domani, di fronte ai laurendi in Antropologia dell'Università di Venezia, riuscirò finalmente a introdurre il tema con un intervento dal titolo "Antropologia dello sport: il rugby", dove esporrò le mie considerazioni sulla presenza del mito di origine (Ellis) nel rugby e sulla sua centralità nella produzione e conservazione del fenomeno amatoriale. Un po' complesso forse, ma è ora che si incominci a parlarne anche a livelli accademici, come da tempo in Francia e Isole britanniche, poichè siamo di fronte ad una trasformazione sociale irreversibile e non indifferente. Se a qualcuno interessa, può contattarmi. Spero di non essere stato eccessivamente noioso in questa mia considerazione (adesso capite perchè è meglio che non intervenga nella list)
> Un saluto,
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> Enrico Giorgis
> Paese(TV)
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