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[RUGBYLIST] i soldi nel rugby
Alberto Bertolazzi
a.bertolazzi a whitestar.it
Lun 7 Gen 2008 13:38:32 CET
A proposito di passione e soldi, incollo integrale un articolo
pubblicato dalla Stampa. Un po' lunghino, con qualche imprecisione e
varia retorica fuori luogo. Però interessante.
Saracens: un magnate alla Abramovich per lo storico club londinese.
di IVO ROMANO
LONDRA - Già gli hanno affibbiato un soprannome. Per la stampa
britannica, è il Roman Abramovich del rugby. E poco importa che sia
sudafricano e viva in Svizzera, a differenza del magnate russo di
stanza a Londra. Come poco importa che dai suoi ricchissimi conti
bancari tirerà fuori una cifra di gran lunga inferiore a quella
sborsata a suo tempo dal patron del Chelsea. Perché, si sa, tutto è
relativo. Il calcio è una cosa, il rugby un’altra. Soprattutto se il
termine di paragone è l'aspetto economico.
L'ultimo baluardo dello sport dilettantistico s'è arreso poco più di
un decennio fa, nel 1996: prima ci si barcamenava tra allegra
goliardia e poco significativi rimborsi spese, poi il dio denaro ha
fatto il suo ingresso in mischia, senza peraltro alterare lo spirito
del mondo ovale. Un momento storico, come lo sarà l'ingresso nel rugby
britannico di Johann Rupert, ultramilionario sudafricano, presidente
della Richemont, azienda di beni di lusso, che tra gli altri marchi
controlla Cartier, Mont Blanc e Dunhill. Ha deciso di aprire il suo
munifico portafogli e investire nel rugby, da buon appassionato, lui
che arriva dal Paese degli Springboks, campioni del mondo in carica.
Ne estrarrà 10 milioni di sterline (circa 15 milioni di euro), che
andranno a riempire le casse dei London Saracens, club del nord di
Londra, orgoglioso della sua storia (con tanto di stella e mezza luna
nello stemma, oltre che di fez indossati con ostentata soddisfazione
dai suoi tifosi), la cui tana è Vicarage Road, lo stadio del Watford,
e il cui tallonatore risponde al nome di Fabio Ongaro, un terzo della
granitica prima linea della nazionale azzurra.
Sembra un'inezia, al confronto delle cifre che girano in altri sport.
E invece è un pezzo di storia del rugby: mai prima d'ora, fin
dall'avvento del professionismo, un singolo imprenditore aveva
investito una somma simile in un club. E solo di esborso di danaro si
tratta, visto che la proprietà del club non cambia. Naturale, poi, che
accada in Inghilterra. La Guinness Premiership è il campionato dagli
standard di gioco e programmazione più elevati, anche più del Top 14
francese, che gli sta subito alle spalle. Sono le realtà nazionali più
importanti al mondo, tanto da attirare frotte di impareggiabili
interpreti del rugby, da ogni parte del mondo, compresi i Paesi
dell'emisfero meridionale. Dall'Italia del rugby inglesi e francesi
hanno attinto a piene mani. Dopo la Coppa del Mondo, poi, hanno fatto
la spesa sul bancone delle altre grandi potenze della palla ovale:
hanno risalito il pianeta verso nord giocatori del calibro di Percy
Montgomery, Victor Matfield, Carl Hayman, Chris Jack, Aaron Mauger,
Byron Kelleher, autentici baluardi di Springboks sudafricani e All
Black neozelandesi. Questione di livello tecnico, certo. Ma anche di
potere d'acquisto. Perché i quattrini che girano tra Inghilterra e
Francia altri se li sognano.
In Inghilterra un giocatore di livello internazionale guadagna in
media oltre 100mila euro, con punte superiori ai 200mila. La media
degli ingaggi in Francia è anche superiore: il flanker azzurro Mauro
Bergamasco, ad esempio, ne percepisce oltre 200mila. Il tutto, senza
contare i bonus, aumentati a dismisura negli ultimi anni, soprattutto
dopo il varo delle competizioni europee per club. Tali cifre, tra
l'altro, sono destinate a lievitare, se è vero come è vero che la
Premier Rugby inglese, una sorta di Lega, ha appena deciso di elevare
il «salary cap» per i club di Guinness Premiership: da 2,2 a 3,4
milioni di sterline, un aumento superiore al 50 per cento.
Del resto, si tratta di numeri che entrano perfettamente nei budget
dei club più ricchi. Quello più alto è roba dello Stade Francais (dove
giocano i fratelli Bergamasco e Sergio Parisse) di Max Guazzini,
presidente munifico e visionario, al limite della megalomania, che ha
fatto il miracolo di portare il grande rugby all'ombra della Ville
Lumiere, riuscendo più volte nell'impresa di riempire sia il vecchio
Parco dei Principi che il nuovo Stade de France.
Restando oltralpe, ma transitando verso sud, la culla del rugby
transalpino, il Tolosa può permettersi un budget pari a 21 milioni di
euro, mentre uno dei club inglesi più in vista, il Leicester, arriva a
15 milioni di sterline. Cifre che hanno finito per svalutare gli altri
campionati, anche quelli con grande tradizione. Le altre tre Home
Union (Scozia, Galles e Irlanda) sono state costrette a un’autentica
rivoluzione per presentarsi al meglio nella Heineken Cup, la Champions
League inglese, ma il campionato che n'è scaturito, la Celtic League,
ne esce con le ossa rotte da un ipotetico confronto. Il divario
economico è enorme, incolmabile.
L'Italia, poi, è un nano tra i giganti, nonostante gli introiti
federali (tra sponsor e diritti tv del sei Nazioni sfiorano i 20
milioni di euro). Certi budget nel nostro Super 10 sono improponibili:
i numeri altrui vanno divisi per dieci (e oltre, in certi casi). Per
non parlare degli stipendi: al massimo nel campionato italiano si
arriva a 50mila euro. E il gap è destinato ad aumentare. Perché se
Viadana, uno dei tre maggiori club italiani (con Treviso e Calvisano),
è stato di recente sommerso da una valanga di 10 mete a Vicarage Road
dai London Saracens in Heineken Cup, chissà cosa accadrà dopo che
Johann Rupert avrà cominciato a operare le sue robuste iniezioni di
danaro nel club del nord di Londra.
Un altro mondo. Che dall'iniziale approdo al professionismo a oggi ha
fatto enormi passi in avanti. Mentre c'è chi si ostina a restare
ancorato al passato. Nella fattispecie, l'Argentina, reduce dal terzo
posto in Coppa del Mondo. La federazione ha appena bocciato l'idea del
professionismo, con conseguente polemica da parte di Agustin Pichot,
mediano di mischia dei Pumas. Già, perché lui è abituato agli standard
dello Stade Francais, il club più glamour del pianeta ovale, che ora
però rischia di essere superato dai London Saracens, il Chelsea del
rugby.
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