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[RUGBYLIST] Cucci: ecco il testo

Massimo Gallo gallomassimo a iol.it
Lun 10 Set 2007 11:56:09 CEST


  Rugbysti siete snob
10 Settembre 2007

All'improvviso il rugby in Prima Pagina. E non per una partita, una vittoria, una sconfitta. Rugby socio/culturale. Ha cominciato Giuseppe D'Avanzo di Repubblica di martedì. Sì, proprio D'Avanzo, l'elegante implacabile narratore dei Segreti di Stato: un'apologia intitolata "Il sogno di un'Italia diversa". Sottotitolo "Perché questa disciplina è oggi l'anticalcio". Sommarietto: "Analisi di un gioco il cui stile rappresenta tutto quanto il Paese non è riuscito a diventare". Bene: un D'Avanzo che sconfina prepotentemente nello sport dovrebbe consentire all'umile sottoscritto una passeggiata nell'Altro Mondo e magari di sottolineare, da appassionato lettore delle inchieste di D'Avanzo, un altro sommarietto: "Analisi di un mondo il cui stile rappresenta tutto quanto il Paese non è riuscito a diventare". L'avrei fatto, vent'anni fa, quando m'incazzavo per poco; oggi, saggio per esperienza, ma forse più per età, cerco di vedere il buono e l'utile dappertutto. Soprattutto, rispetto le opinioni altrui. Ad esempio, scrive D'Avanzo:

«Abbiamo la convinzione che l'Italia abbia bisogno del rugby; che i principi del rugby consentano di guardare meglio lo stato presente del costume degli italiani. Questo gioco può migliorare l'Italia».

Incasso, non ironizzo: ci avevo pensato anch'io, al Rugby Esemplare, ma senza arrivare a capo di nulla perché la muscolosa lealtà di quegli atleti, la limpida rudezza che produce rivali e mai nemici, e quel loro ritrovarsi nel Terzo Tempo, questo sì da adottare dovunque, ma con spirito franco non per vocazione all'inciucio, non hanno mai fatto breccia nella massa dei cosiddetti sportivi; forse perché - come giustamente sottolinea D'A. - «è un mistero inglorioso, per gli italiani, il rugby, pochi sanno esattamente di cosa si tratta.ed è un peccato perché il rugby ha le stesse capacità mitopoietiche del calcio e, come il calcio, permette di interpretare il mondo». Mi chiedo, tuttavia, perché questa critica agli italiani che hanno liberamente scelto di amare il calcio a decine di milioni, imitati dal mondo latino, da quello anglosassone, di recente anche da quegli snob dei francesi che fino a quando hanno potuto hanno celebrato sull'Equipe il rugby piuttosto che il calcio e poi hanno ceduto, diventando addirittura Champions du Monde elevando la palla rotonda al cielo (ricordo la vigilia del Mondial '98, le Figarò che lo presentava con un fondo di Raymond Aron intitolato "Il calcio oppio dei popoli" eppoi lo stesso giornale, un mesetto dopo, dedicargli tutta la prima pagina, perché avevano vinto). La colpa non è degli italiani, la cui passione calcistica scaturisce da una cultura non banale (leggersi la Storia sociale del calcio di Papa e Panico, edizione Il Mulino), ma semmai del rugby medesimo, che non è riuscito mai a sfondare desiderando il piacere snobistico della "casta protetta". Il rugby non ha mai vinto niente, il nostro calcio può vantare 4 titoli mondiali vinti e, in quanto a popolarità, è secondo solo al Brasile. Dico spesso, certo esagerando: l'avessi avuto a mano io, il rugby, sai quanti giovani l'avrebbero scoperto e amato. Nel Sessantuno, a Bologna, le prime esperienze di giornalismo sportivo le feci con il rugby, spedito dal Carlino, la domenica mattina, nel fango dell'antistadio, dove giocava la Viro di Pederzini,propagandista e finanziatore del gioco. Il dopopartita, certe riunioni chiassose a tutta birra, mi lasciarono imperturbabile: c'era, nei protagonisti, una forse involontaria presunzione di superiorità,non solo muscolare, anche ideologica. Finii per appassionarmi al calcio dei breriani italianuzzi stortignaccoli, perché i miei connazionali erano in gran parte italianuzzi e stortignaccoli. Negli anni successivi, ebbi sodale, l'ottimo Giuseppe Tognetti che, se avesse incontrato l'intelligenza federale, sarebbe diventato il vero divulgatore del rugby: era scrittore colto, uomo mite, armato di disinteressata passione. Chiuso lì. Per anni il Rugby ha perso tempo e solo oggi sale alla ribalta, di tanto in tanto, ma spesso raccontato - anche in tivù - come evento folcloristico. L'allegria, la birra, gli irlandesi focosi coi bimbi appresso, gli scozzesi smutandati, il Flaminio tutto bandiere e popolo festante: un'anima esteriore, "dentro il rugby" ci arrivano in pochi. E per me è troppo tardi. Peccato.Dopo l'elegante tirata di D'Avanzo, ecco di nuovo il folclore che avanza: mercoledì, prima pagina del Giornale, Michele Brambilla racconta la storia di Epi Taione, star del rugby di Tonga, che per ottenere un finanziamento della sua nazionale in vista dei Mondiali di Francia ha scambiato il proprio nome con quello di uno sponsor irlandese e adesso deve chiamarsi Paddy Power, come la ditta. Brambilla si scandalizza, e va bene, ma io trovo proprio in questo gesto tanto scriteriato come appassionato - e generoso, no? - l'Essenza del Rugby. Meno complicato, meno snob. Epi Taione ha preso i soldi e via. Dopo il Mondiale, ciao Paddy Power. Ecco dove aprirei la discussione: D'Avanzo o Taione? Propongo di coinvolgere - se D'Avanzo ci sta, non si sa mai - Benito Paolone, padrino (patrono?) del Rugby Catania.
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