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[RUGBYLIST] Notizie del lunedì
allrugby
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Lun 22 Ott 2007 13:25:56 CEST
Ricco di spunti, oggi, il Gazzettino dal quale riporto quanto segue.
Ciao.
Franco (TV)
Successo sportivo, di pubblico e finanziario di Francia 2007. Syd
Millar (Irb) assicura: «Lo useremo per sviluppare la squadre di 2. e
3. fascia»
Una coppa piena di soldi, utile di 130 milioni
Le sfide del futuro: Argentina nel Tre o Sei Nazioni, consolidare la
crescita dell'Italia, scegliere fra Mondiale a 20 o 16 squadre
Il giro del mondo in 44 giorni è finito. Come il romanzo di Jules
Verne, ma nella metà del tempo, ha dispensato emozioni, colpi di
scena, sorprese e novità che produrranno effetti nel quadriennio che
accompagnerà il rugby al Mondiale 2011, in Nuova Zelanda.
PIOGGIA DI EURO -Il presidente uscente dell'Irb Syd Millar ha detto
orgoglioso: «È presto per parlare di bilanci della Coppa del Mondo.
Sarebbe come chiedere a un'azienda conto dei profitti il giorno dopo
le vendite. Ci aspettiamo, però, un ricavo di 260 milioni di euro e un
utile della metà, cioè 130 milioni». Numeri ad effetto, che aumentano
se si parla di impatto economico. «Il Mondiale di calcio - continua -
ne ha generato uno di 8 miliardi di euro in 4 anni, noi pensiamo di
fare meglio». Il rugby dunque è un successo sportivo, di pubblico e un
grande affare (altri due esempi: la federazione francese prevede utili
di 5,5 milioni; i 350mila turisti stimati in Francia dal ministero
hanno creato un giro d'affari di 105 milioni in hotel e ristoranti) e
i suoi utili l'Irb li userà per far crescere le nazionali di 2. e 3.
fascia. «I frutti di questo utilizzo, già iniziato in passato - dice
Millar - si sono visti con i risultati al Mondiale di Figi, Tonga,
Georgia. Questo ci incoraggia a continuare».
LA ZAMPATA DEI PUMAS -Aumentare i Paesi competitivi è dunque un
obbligo. E paga. Lo dimostra l'Argentina, la più bella sorpresa del
Mondiale. Il suo 3. posto vale il titolo del Sudafrica, se si pensa
che è l'unica delle big esclusa da un grande torneo annuale. Dove
sarebbero arrivati i Pumas, se avessero avuto un Sei Nazioni come
l'Italia dove misurarsi da 8 anni con le migliori? La lacuna dopo
l'entusiasmante podio di Parigi sarà colmata. «L'Argentina non può più
essere ignorata - conferma Millar - Il suo rendimento giustifica un
posto nel Tre Nazioni. Gli organizzatori stanno già valutando
l'ipotesi di includerla». Ma capitan Augustin Pichot ha dichiarato a
"Le Monde": «Ci sentiamo una squadra del nord, preferiamo il Sei
Nazioni». Si inizia così a parlare anche di un possibile Sette
Nazioni.
MONDIALE A 20 O 16? -È in fase già avanzata, invece, il dibattito
sulla riduzione da 20 a 16 delle partecipanti al prossimo Mondiale. A
favore ci sono gli organizzatori neozelandesi. Hanno paura che match
dal risultato scontato (tipo il 108-13 di All Blacks-Portogallo) o fra
squadre deboli (tipo Georgia-Namibia) lascino deserti gli stadi.
Insieme a loro ci sono i fautori di un maggior equilibrio nella fase a
gironi. Contrari, invece i Paesi più piccoli, che vedono nella ribalta
iridata l'unico modo per crescere e uscire dal recinto del
dilettantismo. Al loro fianco c'è la filosofia dell'Irb di ampliare la
diffusione del rugby, aumentare il numero di nazionali competitive e
continuare a produrre utili milionari. In caso di riduzione a 16
squadre, sono già spuntate due ipotesi: un maxi torneo di
qualificazione nel 2010 per stabile le 4 che andranno in Nuova Zelanda
(le prime 3 dei 4 gironi di Francia '07 sono qualificate di diritto);
un Mondiale B da affiancare al Mondiale A, organizzato stile Rwc seven
o under 19, che allargherebbe addirittura a 32 le contendenti.
L'ITALIA DI MALLET -In questo scenario mondiale che ruolo avrà
l'Italia del nuovo ct Nick Mallet? Quello di confermarsi in pianta
stabile fra le big di 2. fascia a suon di risultati (1-2 vittorie nel
Sei Nazioni devono diventare una costante, non un exploit), progetti
(valorizzazione dei vivai, italianizzazione del XV, rilancio della
competitività dei club) e popolarità (il boom del rugby da moda deve
tramutarsi in elemento di cultura sportiva). Gli azzurri sono gli
unici big di Tre e Sei Nazioni a non essere mai passati ai quarti di
un Mondiale. Dopo il doloroso fallimento a Francia '07, il 2011 sarà
volta buona?
Ivan Malfatto
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I campioni del realismo tornano a fare scuola
Gli Springboks si riprendono il tempo perduto. A lungo esclusi dalle
competizioni internazionali a causa della politica di apartheid, con
il trionfo di Parigi sono ora, assieme all'Australia, i soli ad aver
vinto due volte la Coppa del mondo. Se da un punto di vista
politico-sociale i sogni di integrazione razziale che avevano
accompagnato il trionfo in patria del '95 restano irrealizzati,
rubisticamente il Sudafrica va in fretta. Il suo pragmatismo fa scuola
. Tutte le grandi squadre, Nuova Zelanda e Francia comprese, vi si
sono sono adeguate a partire dai quarti di finale. Cioè appena la
competizione si è fatta dura.Nel rugby esasperatamente fisico di oggi
gli Springboks svettano. E il loro mentale di ferro non ha eguali.
Sono dei masochisti del gioco: non è la gioia per i passaggi e le
corse che li anima. Ma il piacere per il combattimento e la fatica, la
sopportazione del solore e la sfida continua ai propri limiti.
Caratteristiche appartenenti alla tradizione ora aggiornate. In prima
linea e in mischia chiusa non spaventano più come un tempo. La durezza
e l'aggressività sono stati trasferiti negli impatti individuali e nei
raggruppamenti. E lì che sono diventati dei maestri, con una terza
linea monumentale composta da Burger, Rossouw e Smith: attaccanti
inaffondabili palla in mano, tremendi nel placcaggio. La difesa
sudafricana sembra allenata da Clint Eastwood. Spietata. Appena uno
perde il controllo del pallone lo castigano. Ne sanno qualcosa gli
argentini che in semifinale hanno incassato due mete su intercetto e
altrettante su azioni nate da palloni di recupero. I verdi alternano
l'opposizione controllata e in linea a quella alta, nota come "rush
defence": un blocco di giocatori si lancia come kamikaze sugli
avversari. Se sbagliano il placcaggio sono fregati. Ma chi li vede mai
sbagliare? E poi sono mostruosi nel riorganizzarsi, trasformando
all'istante un'azione difensiva in una offensiva.
La loro Coppa del mondo è cominciata in fanfara: 59-7 alle Samoa e un
clamoroso 36-0 all'Inghilterra. La seconda squadra ha rischiato con le
Tonga (30-25). Con gli Usa (64-15) tutto sembrava tornato alla
normalità. Nei quarti contro le Figi hanno però sudato freddo: è stato
il maul, quando il punteggio era sul 20-20, a toglierli dal pantano di
una partita presuntuosa proprio sul piano fisico contro avversari che
nel combattimento non sono secondi a nessuno. Matfield e Botha, oltre
a essere i cardini di una touche tra le migliori al mondo, sono i
bisonti dei raggruppamenti penetranti. E con loro du Randt e Rossouw.
Quando sono in difficoltà riuniscono la famiglia per spingere
direttamente gli avversari oltre la linea di meta o al fallo per
crollo del pack. Irresistibili.
Non sembravano eccelsi nel gioco al piede. Ma in finale White ha
registrato i calci tattici e predisposto una battaglia aerea a lunga
gittata. James, Steyn, Montgomery, du Preez, Habana, persino Matfield,
hanno tenuto Wilkinson lontano dalla zona sensibile dei calci
piazzati. E' stato uno dei capolavori della finale. L'altro lo hanno
compiuto nelle fasi a terra dove sono riusciti a neutralizzare
l'incredibile lavoro di pulizia collettiva che ha rilanciato i bianchi
nel mondiale: praticamente non hanno perso palloni. Sulla spinta
imperiosa degli inglesi in ruck, gli Springboks hanno saputo
rallentare l'uscita del pallone. E aspettato fuori. Dove si è vista
una distribuzione difensiva impenetrabile ai lati del raggruppamento,
capace di diventare micidiale in pressione sull'asse. In questo modo
Wilkinson ha avuto solo una palla veramente buona per il drop. Il
resto lo ha fatto la disciplina: concedere all'avversario solo 2
punizioni piazzabili in 80 minuti se non è un record poco ci manca.
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Lapasset presidente. Italia sola big esclusa
(im) Il presidente della federazione francese Bernard Lapasset è stato
eletto presidente dell'Irb per il prossimo quadriennio. Succede
all'irlandese Syd Millar. Entrerà in carica dal 1. gennaio '08. Eletto
anche il nuovo esecutivo, dove solo l'Italia fra le big non è
rappresentata. I componenti: Bill Beaumont (Ing, vice presidente),
David Pickering (Gal), Bill Nolan (Sco), Peter Boyle (Irl), Graham
Mourie (Nzl), Paul McLean (Aus), Oregan Hoskins (Saf), Carlos Tozzi
(Arg). Mike Miller segretario.
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IL CITÌ HA PORTATO GLI SPRINGBOKS AL TITOLO SCONFIGGENDO ANCHE LE
ACCUSE DI RAZZISMO E IL RISCHIO DI ESONERO
Jake White, in direzione ostinata e contraria verso il sogno del Sudafrica
In direzione ostinata e contraria. Questa volta però non si tratta
della celebrata raccolta di successi di Fabrizio De André, quanto del
tragitto che ha compiuto in quattro anni il signor Jake White che un
bel giorno del 2004 ha accettato lo scomodissimo mestiere di tecnico
degli Springbokke (Springboks in lingua africans).
Lo ha fatto in mezzo ad un mare di diffidenza sebbene avesse già
coadiuvato Nick Mallett nel biennio 1997-1998 ed avesse portato i il
Sudafrica under 21 (i baby Bokke) al titolo mondiale nel 2002. White
ha però immediatamente reso chiaro ciò che voleva: il titolo Mondiale
del 2007. Ed alla fine lo ha conquistato finendo per camminare
addirittura sulle acque.
White ha vinto il titolo nonostante l'astio incrociato dei presidenti
delle union provinciali sudafricane, che hanno cercato in tutti i modi
di influenzare le sue convocazioni e che ne chiedevano la testa alla
fine del 2006 dopo l'opaco tour sudafricano in Gran Bretagna. White ha
vinto il titolo nonostante l'assurda ingerenza di diversi ministri
non-bianchi del governo di Thabo Mbeki che reclamavano più coloured e
neri tra le fila degli Springbokke al Mondiale. White ha inoltre vinto
il titolo contro il dilagante malcontento nel suo paese dove il mito
dei Bokke in pochi anni è precipitato dalle stelle alle stalle, per
via anche della vergognosa esperienza nel ritiro militare di Kamp
Staaldraad nel 2003. Ed ancora White ha vinto contro chi, idiozie
ministeriali a parte, lo ha sempre accusato di preferire i giocatori
bianchi, dimenticandosi però che lo scorso dicembre nominò capitano il
tallonatore Chilliboy Ralepelle quale primo non-bianco di sempre a
guidare i Bokke in un match internazionale.
Ed il nostro Jake ha vinto il titolo anche senza pedine-chiave,
assenti in Francia per infortunio, come Pierre Spies, Joe van Niekerk
e Jaco van der Westhuyzen, oppure senza chi ha dovuto escludere a
malincuore come il seconda linea Rory Duncan (Vrystaat), come la terza
centro Jacques Cronjé (Golden Lions) o come l'apertura Peter Grant
(Western Province). Ed infine super-Jake ha vinto il titolo contro la
stessa dirigenza della Saru (federazione sudafricana) che qualche mese
fa gli ha fatto sapere, schiaffeggiandolo moralmente, che per la
riconferma nella carica per il periodo 2008-2011 avrebbe dovuto
presentare nuovamente la propria candidatura per iscritto, come un
qualsiasi altro pretendente, indipendentemente dall'esito del
Mondiale.
Da oggi Jake White può tornare a correre liberamente come uno
Springbok nel Veld attorno alla sua amata Johannesburg. Sapendo già
che a fine anno al suo posto al 99\% verrà nominato il coach dei Blou
Bulle, Heyneke Meyer, ma sapendo anche che a quarantatrè anni questo
capolavoro del Mondiale 2007 porterà per sempre la sua firma:
"wereldkampioene". Un capolavoro che di diritto entra nel Gotha del
rugby sudafricano assieme al vittorioso tour in Nuova Zelanda nel
1937, in compagnia della "Grootste Reeks" ("La Serie Più Grande") del
1970 contro gli All Blacks ed assieme al Mondiale del 1995 benedetto,
in primis, da "Madiba" Mandela.
Giampaolo Tassinari
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