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[RUGBYLIST] il boom del rugby
Alberto Bertolazzi
a.bertolazzi a whitestar.it
Ven 16 Nov 2007 17:35:18 CET
Ecco una notizia da commentare. Sarà esagerazione giornalistica, un
fuoco di paglia o quello che volete, ma la sensazione che qualcosa
attorno al rugby sta cambiando ce l'ho da quando l'Italia è entrata
nel 6Nazioni. Probabilmente è grazie alla tv, eppure quando parlo di
rugby mi sembra di essere meno solo di dieci anni fa. Ecco l'articolo,
l'ha pubblicato il Corriere della Sera oggi.
ROMA – A volte basta un prato. Prendete Corviale. Bistrattata
periferia di Roma. Eco-mostri e campi verdi, in un mix inusuale e
sconcertante. E un campo da rugby, tra abnormi palazzoni di cemento
armato. Dopo vent’anni di battaglie, arrabbiature e delusioni,
Salvatore Gallo ha ottenuto quel campo, verde di prato e con tanto di
illuminazione artificiale e tribune, per la sua squadra, il Villa
Pamphili Rugby.
RIQUALIFICARE CON LO SPORT – Da quando il Comune, anche per
riqualificare il quartiere, ha affidato le chiavi dell’impianto alla
società (era il 25 giugno scorso, con cerimonia alla presenza del
sindaco Veltroni e di Andrea Lo Cicero, pilone azzurro e beniamino
degli appassionati) nel quartiere si respira un’aria diversa. Le
iscrizioni al club, in poche settimane, sono esplose, con un boom che
ha dell’incredibile tra i giovanissimi. Ecco i numeri: nelle
giovanili, dall’Under 7 all’Under 13, i tesserati sono passati da 40 a
300 (!); per la prima volta nella storia del club sono state
organizzate le squadre Under 15, 17e 19; in prima squadra, che milita
in serie C, i tesserati sono triplicati (e il Villa Pamphili, in
classifica, oggi lotta con le prime).
EFFETTO CAPITALE – Un caso? Per niente. La moltiplicazione dei
rugbisti in erba – facilitata, nel caso del Villa Pamphili, dal campo
da gestire in proprio – è una costante del movimento: lo stesso boom
si registra anche all’AlmavivA Capitolina, in zona Tor di Quinto, alla
Rugby Roma, alla Lazio. Per non dire della zona dei Castelli,
tradizionale zona di reclutamento per il rugby. «E’ l’effetto della
popolarità che ha raggiunto questo sport - spiega Alessandro Di Leo,
dirigente-giocatore del Villa Pamphili - ma anche della crisi del
calcio, che non insegna più niente. Invece sul campo da rugby i valori
ci sono ancora. Qui si insegna lo spirito di squadra e il rispetto
dell’avversario». E capita anche che giochino uno affianco all’altro,
i figli del «Serpentone» (l'obbrobrio di cemento di cui sopra) e
quelli delle zone residenziali del quartiere. Borghesia e popolino,
come ai tempi del decollo di questo gioco, nella Gran Bretagna
dell’Ottocento, post rivoluzione industriale.
ISCRIZIONI A PIOGGIA - E a Milano? Il discorso non cambia: iscrizioni
a pioggia. I tesserati sono passati da 5779 nel 2004 a quasi 10mila.
«A settembre sono arrivati tra i 50 e i 60 nuovi tesserati, tra mini
rugby e giovanili – spiega Stefano Curioni della Asr Milano, storica
società della zona Lambrate – Rispetto alla scorsa stagione c’è il 50%
di ragazzi in più». Gli Under 7 sono passati da 10 a 20; gli Under 9
da 15 a 30; nell’Under 11 siamo stati costretti ad attrezzare tre
quadre. «Il risultato – spiega Curioni – è che noi Old, ovvero noi
rugbisti di 40 e più anni, siamo stati costretti a cercarci un altro
campo per allenarci». Da notare che, malgrado tutta questa gioventù
che preme ai cancelli, ora che giocare a rugby è finalmente diventato
di moda, gli anziani dell’Asr non ne vogliono sapere di appendere gli
scarpini al chiodo. E la sera sono più di 45 a faticare sul campo. E
c’è altro: «Il buon momento del rugby – dice Curioni, che è anche
professore associato all’Università Bocconi - lo misuriamo anche
dall’attenzione degli sponsor. Quando sentono parlare di rugby ci
ascoltano. Un po’ di tempo fa non perdevano tempo». Tutti segnali
eloquenti, ancora di più perché Roma e Milano non sono i serbatoi
naturali per il rugby, molto più popolare, in Italia, in Veneto e
Abruzzo.
LA PROFEZIA – Insomma, a giudicare dai numeri, non sembra lontano quel
giorno profetizzato da John Kirwan, ex All blacks e fino a due anni fa
allenatore della nazionale azzurra: «La più bella vittoria l'avremo
ottenuta quando le mamme italiane spingeranno i loro figli a giocare
al rugby se vorranno che crescano bene, abbiano dei valori, conoscano
il rispetto, la disciplina e la capacità di soffrire. Questo è uno
sport che allena alla vita». La federazione, alla fine della scorsa
stagione, indicò già un primo grande balzo: da 47 mila tesserati in
pochi mesi si era passati a 62 mila. Un incremento di oltre il 30%. E
il bello deve ancora venire, visto che quei dati sono relativi al
giugno scorso, prima dell’ondata di settembre-ottobre (non a caso nel
periodo in cui in Francia ci si sfidava per la Coppa del Mondo).
IL FANGO E LA GLORIA – Ma di chi è il merito dell’esplosione del
rugby? Curioni è convinto che gran parte del sostegno arrivi della
nazionale, che ha fatto a volte molto bene (Sei Nazioni), altre meno
(Mondiali), ma che è andata in tv con regolarità, mostrando la
bellezza del gioco. E merito lo hanno anche i giocatori più forti,
diventati testimonial della pubblicità e personaggi tra i
giovanissimi. E la crisi del calcio? «Beh, sì. Dipenderà anche da
quello. La cosa che notiamo è che molte famiglie preferiscono mandare
i figli a giocare a rugby piuttosto che a calcio». Meglio il fango e
qualche livido (da mostrare con orgoglio ai compagni di scuola, tra
l’altro) della sconfortante aggressività che ruota attorno al pallone.
Quello rotondo.
Paolo Ligammari
16 novembre 2007
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