Prolifico marcatore di mete, Stu Wilson ne ha segnato diciannove in trentaquattro test, tra il 1977 e il 1983, diventando all’epoca il top-scorer della Nuova Zelanda, prima di essere eguagliato da Terry Wright e poi superato dal grande John Kirwan. Se Stu avesse giocato nell’epoca del professionismo, e se non avesse terminato la carriera così presto, probabilmente le sue marcature sarebbero state il doppio. Se si considerano poi anche le gare non ufficiali, le mete per gli All Blacks a questo punto diventano 50 in 85 partite.
Nato il 22 luglio 1954 a Gore, ma educato a Masterton, Stuart Sinclair Wilson è stato un trequarti potente, 1,83 metri per 86 kg, dotato di grande velocità e classe innata. Grazie a questo la sua carriera è progredita in maniera piuttosto veloce. Nel 1973 lo troviamo con gli Old Boys, e non c’è voluto molto perché Doug Catley lo promuovesse capitano. Due anni più tardi Wilson è stato selezionato dai New Zealand Colts, quindi dalla squadra di B della provincia di Wellington. Dopo solo due partite, però, egli è diventato un membro fisso della prima squadra, dove nella sua prima stagione ha segnato sedici mete in quindici partite. È arrivata poi la chiamata per rappresentare North Island e, infine, nel 1976 è stato convocato dagli All Blacks per il tour in Argentina, dove ha giocato in entrambe le prove contro la squadra ospitante. Nella partita del suo debutto, il 16 ottobre 1976 contro la selezione di Buenos Aires, Stu ha segnato due mete.
L’esordio ufficiale di questo trequarti è arrivato l’11 novembre del 1977, all’età di 22 anni, in una sconfitta 13 a 18 contro i francesi a Tolosa. Nel secondo test match di quel tour, disputato a Parigi e vinto dai neri 15 a 3, Stu ha segnato la sua prima meta internazionale.
L’anno seguente ha visto Wilson incontrare i Wallabies per la prima volta e disputare con essi una serie eccellente, con due mete segnate nella seconda e terza prova. È stato poi uno dei protagonisti del tour dei record nel Regno Unito in autunno, quello del Grande Slam, durante il quale ha schiacciato l’ovale oltre la linea nel 13 a 12 contro il Galles. La sua meta è arrivata a seguito di un’azione che ha coinvolto Andy Haden, Graham Mourie, Doug Bruce e Bill Osborne, e ha fatto si che la Nuova Zelanda, che stava perdendo 0 a 9, potesse rientrare in partita.
Un anno dopo Stu ha segnato altre due volte contro la Francia. Più tardi, quello stesso anno, ha partecipato a un altro tour nel Regno Unito, dove è sceso in campo in entrambe le vittoriose sfide della Nuova Zelanda, rifilando la prima delle sue cinque mete agli scozzesi.
La frattura di un dito ha influito sul coinvolgimento di Stu nella Bledisloe Cup del 1980; l’ala, infatti, è stata in grado di disputare solo la prima prova a Sydney, persa 9 a 13. Senza di lui una sconnessa Nuova Zelanda ha proseguito malamente fino a perdere la serie 1 a 2. Anni dopo Stu e il suo compagno di squadra, Bernie Fraser hanno scritto un libro intitolato "Ebony and Ivory", in cui sostengono che gli All Blacks erano stati deliberatamente intossicati alla vigilia del terzo match, a causa di un giro di scommesse. Tuttavia, vi è stata scarsa evidenza a sostegno delle accuse e si è generalmente percepito che il tutto era solo un tentativo da parte dei due autori per aumentare le vendite del loro libro.
Più avanti nell’anno i neozelandesi hanno intrapreso un tour in Galles. Stu ha segnato mete contro Swansea e Newport, anche se poi è stato costretto a saltare il test match all’Arms Park.
Il 1981 ha visto realizzarsi una delle Migliori stagioni di Stu: egli ha segnato quattro mete contro gli scozzesi, tra cui una tripletta nella seconda gara disputata a Auckland. I sudafricani, invece, si sono dimostrati un osso molto più duro da battere, ma Wilson li ha colpiti con mete cruciali nel primo e nel terzo match. Quest’ultima partita è stata vinta 25 a 22 grazie al penalty a tempo scaduto di Hewson, e con essa gli All Blacks si sono aggiudicati la serie 2 a 1.
A novembre la squadra è partita alla volta dell’Europa, dove ha giocato e vinto due volte contro la Francia.
Quell’anno poi, Stu è stato capitano di Wellington, una stagione in cui la provincia è riuscita a sconfiggere la Scozia.
L’incontro per la Bledisloe Cup 1982 ha visto Wilson giocare contro l’esordiente diciannovenne David Campese ma, alla fine, quella serie si è dimostrata una che l’ala neozelandese preferirebbe dimenticare. Prima del match iniziale di Christchurch, un giornalista ha chiesto al giovane Campo cosa provasse nel dovere affrontare un veterano come Stu Wilson. La sua risposta è stata disinvolta: "Stu chi?". Sdegnato dall’arroganza dell’australiano, Stu è entrato sul terreno di gioco con l’intento di fargliela pagare. Il saldo del conto, però, non è mai avvenuto, e al primo tocco di palla Campese gli ha fatto vedere il suo marchio di fabbrica, con il quale ha ingannato gli avversari nei molti anni a venire, e ha segnato una meta. Questo ha rappresentato un modello anche per le altre gare e Stu è diventato sempre più frustrato. Gli All Blacks hanno vinto la serie 2 a 1, ma Wilson è uscito da quella competizione abbattuto e con un sacco di pensieri per la testa.
Tuttavia, il suo ritorno alla forma nel 1983 è stato a dir poco spettacolare. Stu ha segnato una meta nel secondo test contro i British Lions, dopo quasi due anni in cui era rimasto a secco. Con quella marcatura Wilson ha eguagliato il record neozelandese e dopo avere schiacciato a terra l’ovale ha sollevato un dito come per dire "sono il numero uno". Egli, poi, ha fatto letteralmente faville nel quarto test match all’Eden Park, dove ha marcato tre mete con le quali ha battuto il record. Quella serie con i Leoni è stata a dir poco spettacolare per il team in nero: quattro vittorie in altrettanti test match.
Nello stesso anno Stu è diventato capitano, ma il suo record qui è stato meno impressionante. Egli, infatti, ha tenuto la fascia al braccio durante il tour del 1983 nel Regno Unito, dove gli All Blacks hanno pareggiato 25 a 25 con la Scozia e sono stati battuti dall’Inghilterra a Twickenham 9 a 15. Questa sconfitta è stata l’ultima gara di Stu Wilson per la propria nazionale.
L’anno successivo l’ala si è ritirata definitivamente dal rugby giocato, all’età di soli 29 anni. Il motivo è il libro di cui si è già parlato. All’epoca, infatti, il dilettantismo non permetteva ai giocatori di ricevere royalties e compensi. Stu, quindi, è stato in sostanza costretto a dire addio alla palla ovale.
Persona dotata di grande senso dell’umorismo e di un carattere solare, Wilson si era fatto molti amici tra i giocatori internazionali durante la sua carriera, che l’ha portato a giocare in tredici diversi paesi, quindi non ha avuto difficoltà nel raccogliere XV campioni per disputare una sfida a Wellington nella sua ultima partita ufficiale. Il ricavato è stato devoluto in beneficienza all’Al Keown Memorial Trust.
Dopo il ritiro Stu è diventato un agente immobiliare e ha lavorato spesso anche come commentatore di rugby in radio e televisione.
C’è ancora da dire che Wilson è sempre stato legato agli Old Boys. Anche se le richieste per giocare a livello provinciale e con la nazionale hanno ridotto le sue apparizioni con il club, egli si è sempre reso disponibile ogni volta che poteva e ha regalato spesso il proprio tempo libero per incoraggiare i giocatori più giovani. Il giorno dopo la vittoria di Dunedin con i Lions, nel 1983, gli Old Boys hanno disputato la loro prima partita della Jubilee Cup. Stu ha saltato la cena ufficiale con gli All Blacks e, con qualche difficoltà, ha convertito il biglietto aereo ed è volato a casa, dove ha giocato con la sua squadra. Per l’occasione ha anche marcato una meta, aiutando i suoi ha battere l’Athletic.
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