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<BODY bgColor=#ffffff>
<DIV align=justify><FONT size=2 face=Arial>La mia presenza ormai per attività
economica anche a Milano mi porta a puntare un mezzo occhio nel rugby
meneghino. Ieri c'era un evento a Parco Lambro <A
href="http://www.milanotoday.it/sport/campo-rugby-parco-lambro.html">http://www.milanotoday.it/sport/campo-rugby-parco-lambro.html</A>) con
il sindaco Pisapia e con un campo rugby gratis dedicato a Cesare Ghezzi (un
evento che ne apre altri): sarebbe interessante avere qualche commento in list
oltre a quello odierno del quotidiano Il Giornale (<A
href="http://www.ilgiornale.it/news/milano/campo-rugby-aperto-tutti-parco-lambro-1010319.html">http://www.ilgiornale.it/news/milano/campo-rugby-aperto-tutti-parco-lambro-1010319.html</A>).
Penso che per parlare di cultura del rugby bisogna stare terra
terra. I principali impianti a Milano sono raggiungibili agevolmente con i
mezzi pubblici. In altre città italiane non è così. Non parliamo di Roma.
Inoltre è importante lo stato del terreno. Se io fossi un ragazzino oggi e
vedessi un terreno non pratoso o mezzo scassato quasi certamente
girerei i tacchi ed andrei verso un altro sport. Collegamenti, terreni, assenza
di buchi nelle squadre per età, contatti sicuri, cultura anche: il rugby deve
produrre cultura e divertimenti. Poi vengono i fattori tecnici! Ma se il primo
contatto con il mondo palla ovale è negativo (generalmente il primo
minuto è decisivo), quasi certamente si risolverà in una perdita. Se
il primo collegamento con una squadra di rugby è negativo, poca comunicativa o
linguaggio criptico o eccessiva serietà, addio praticante. Poi vengono
i budget, gli stadi e le franchigie! </FONT></DIV>
<DIV align=justify><FONT size=2
face=Arial>giov. </FONT></DIV></BODY></HTML>