<div dir="ltr">Questa mattina, sfogliando Repubblica, nelle pagine dello sport nazionale trovo un articolo sul rugby: <div><br><div><b>Vergogna rugby giovani<br>insulti a disabile: radiato</b></div><div><br></div><div>Fra me e me penso che sia vergognoso, </div>
<div>- in primo luogo, insultare un disabile, anzi, insultare chiunque per una ragione tutto sommato futile come una partita;</div><div>- in secondo luogo: che è un peccato che del nostro sport si parli solo per la nazionale o in occasioni come queste. Ci vedo un fondo di malignità, un tentativo di riabilitare il calcio dicendo "tanto sono tutti uguali":</div>
<div>- infine che, a prescindere da tutto il resto, la Federazione abbia fatto benissimo a radiare il colpevole, dando un segnale molto forte e che, tutto sommato, è bene che si sappia che nel rugby non si usa il guanto di velluto nei confronti di chi sbaglia.</div>
</div><div><br></div><div>Poi, leggendo l'articolo - diciamo così - mi sono arrabbiato. Nell'Amatori Genova ho iniziato, poi, una decina di anni dopo, vi ho concluso la mia umile "carriera" rugbistica, giocando sempre in prima linea, giocando per tre o quattro anni col personaggio citato. </div>
<div>A proposito del nostro, spiace anche che abbia buttato via almeno vent'anni di lavoro col rugby giovanile, finendo fra l'altro nel reportage di Marco Paolini dedicato al rugby su La7. Però, se a cinquant'anni suonati non si riesce ad avere il controllo dei propri nervi e dei propri comportamenti è meglio starsene a casa e non svolgere un ruolo che è bel oltre che sportivo, perché chi si occupa delle giovanili è anche e soprattutto un educatore.</div>
<div><br></div><div>Per completezza, trascrivo l'articolo.</div><div><br></div><div>Alberto</div><div><br></div><div>PS: non credo che la giornalista sia del mestiere, perché c'è qualche imprecisione, ad esempio sul terzo tempo.</div>
<div><br></div><div><div><b>Vergogna rugby giovani<br>insulti a disabile: radiato</b></div></div><div>di <i>Alessandra Retico</i></div><div><i><br></i></div><div>Una domenica d'aprile su un campo di rugby. E' il terzo tempo, quello nel quale bisognerebbe stringersi comunque la mano. Chi gioca con l'ovale lo sa, è la prima regola che insegnano ai ragazzini. Gli adulti però dimenticano: si è appena conclusa la gara under 20 tra gli Amatori rugby di Genova contro Province dell'Ovest, franchigia tra Imperia e Sanremo. Massimo Rattazzi, presidente della società genovese, fa il guardialinee quella domenica: allo scadere assegnano una meta ai suoi (il match finisce 15-14), lui è euforico: «In finale andiamo noi, ve lo abbiamo messo nel c...». Per spiegare meglio, esorta gli avversari. «Andate a spingere la carrozzella con il vostro presidente». Parla di Massimo Poggio, presidente delle Province dell'Ovest, che ha un figlio paraplegico. Poggio sporge denuncia. La commissione giudicante della Federazione rugby esamina il caso, fa le sue indagini, ascolta testimoni e alla fine decide, proprio pochi giorni fa, con una sentenza firmata dal procuratore Fabio Pennisi: Rattazzi, insegnante di scuola media, oltre che presidente sportivo, viene radiato, Genova penalizzata con 1500 euro di multa. L'altro quotidiano razzismo, non solo nel calcio, ma nello sport di ogni famiglia. Il rugby ha oltre 100mila tesserati, anche se non va in copertina. Massimo Rattazzi l'aveva già fatto: all'andata di under 14 tra Genova e Province dell'Ovest, il 2 dicembre 2012, aveva insultato il padre di un ragazzo dicendogli «tornatene a casa, romano». Un'abitudine all'intolleranza, secondo il giudice sportivo, oltre che «gravissima violazione dei principi di educazione, rispetto e solidarietà sociale da osservarsi nei confronti di qualsiasi persona, tanto più se portatore di gravi handicap psico-fisici o se suo familiare, e dei principi cardine dello sport». Da ricordare, ogni domenica e ogni giorno, a tutto campo.</div>
</div>