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<DIV><STRONG><FONT color=#000080><A
href="http://www.giandomenicomazzocato.it/"><FONT
face="Arial Narrow">http://www.giandomenicomazzocato.it/</FONT></A><BR><FONT
face="Arial Narrow">SITO DELLO SCRITTORE<BR>GIAN DOMENICO MAZZOCATO<BR></FONT><A
href="mailto:giandoscriba@giandomenicomazzocato.it"><FONT
face="Arial Narrow">giandoscriba@giandomenicomazzocato.it</FONT></A><BR><FONT
face="Arial Narrow">webmaster Nicola
Novello<BR>-----------------------------------------------------<BR></FONT>
<P style="MARGIN: 0cm 0cm 10pt" class=MsoNormal><SPAN
style="FONT-FAMILY: 'Times New Roman','serif'"><FONT
face="Arial Narrow"></FONT></SPAN> </P>
<P style="MARGIN: 0cm 0cm 10pt" class=MsoNormal><SPAN
style="FONT-FAMILY: 'Times New Roman','serif'"><FONT
face="Arial Narrow"></FONT></SPAN> </P>
<P style="MARGIN: 0cm 0cm 10pt" class=MsoNormal><SPAN
style="FONT-FAMILY: 'Times New Roman','serif'"><FONT face="Arial Narrow">Beh, il
discorso sulla memoria ha prodotto dibattito e ha fatto pubblicità alla bella
iniziativa dell’amico Andrea Pelliccia. Io gliene sono grato, penso anche molti
altri. Vorrei sottolineare alcune cose.<?xml:namespace prefix = o ns =
"urn:schemas-microsoft-com:office:office" /><o:p></o:p></FONT></SPAN></P>
<P
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class=MsoListParagraphCxSpFirst><FONT face="Arial Narrow"><SPAN
style="FONT-FAMILY: 'Times New Roman','serif'; mso-fareast-font-family: 'Times New Roman'"><SPAN
style="mso-list: Ignore">1)<SPAN style="FONT: 7pt 'Times New Roman'"><FONT
size=3> </FONT></SPAN></SPAN></SPAN></FONT><FONT
face="Arial Narrow"><SPAN style="FONT-FAMILY: 'Times New Roman','serif'"><FONT
face="Arial Narrow">NOSTALGIA.Queste operazioni non possono e non devono essere
all’insegna della nostalgia. La retorica del “rugby del panino” ci ha riempito
palchi, soppalchi e ballatoi.<SPAN style="mso-spacerun: yes"> </SPAN>Il
“come eravamo” serve per dare un senso al cammino compiuto e a progettare
futuro. Si conservano (si cerca di conservare) i valori, si modificano la
sovrastrutture</FONT>.</SPAN></FONT></P>
<P
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class=MsoListParagraphCxSpFirst><SPAN
style="FONT-FAMILY: 'Times New Roman','serif'"><o:p><FONT
face="Arial Narrow"></FONT></o:p></SPAN> </P>
<P
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class=MsoListParagraphCxSpMiddle><SPAN
style="FONT-FAMILY: 'Times New Roman','serif'; mso-fareast-font-family: 'Times New Roman'"><SPAN
style="mso-list: Ignore"><FONT face="Arial Narrow">2)<SPAN
style="FONT: 7pt 'Times New Roman'"><FONT
size=3> </FONT></SPAN></FONT></SPAN></SPAN><SPAN
style="FONT-FAMILY: 'Times New Roman','serif'"><FONT face="Arial Narrow">LA
PINSA. La parola, intanto. È la stessa cosa di “pizza”. <BR>Etimo incerto. Forse
una voce germanica (forse longobarda) che significa focaccia. Se, come pare,
questo è vero c’è da ridere: la pizza l’hanno inventata a nord.
<BR>In</FONT></SPAN><SPAN style="FONT-FAMILY: 'Times New Roman','serif'"><FONT
face="Arial Narrow"> area NordItalia la pinsa <SPAN
style="mso-spacerun: yes"> </SPAN>era la schiacciatina che si cucinava tra
le braci, con i resti dell’impasto, il giorno in cui si infornava il pane che
doveva durare un mese e più. <BR>Poi divenne il modo di recuperare tutto quanto
avanzava in cucina e che non fosse carne. <BR>I resti della polenta sì, ma anche
il pane secco. <BR>E tutto quello che si poteva recuperare (un paio d’uova,
fichi secchi, uvetta, frutta secca) era benvenuto: tutta ricchezza (e golosità)
in più. <BR>Già questo dice che non esiste una ricetta precisa (nemmeno nel
contesto di una stessa famiglia e in due preparazioni successive).
<BR>Semplicemente si utilizzava tutto. Tutto quello che c'era.<BR>Rigorosa
(perché rituale) la prima cottura dell'anno con le braci del panevin (il falò
postnatalizio): forno e perfino focolare erano un
ripiego.<o:p></o:p></FONT></SPAN></P>
<P
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class=MsoListParagraphCxSpLast><SPAN
style="FONT-FAMILY: 'Times New Roman','serif'; mso-fareast-font-family: 'Times New Roman'"><SPAN
style="mso-list: Ignore"><FONT face="Arial Narrow">3)<SPAN
style="FONT: 7pt 'Times New Roman'"><FONT
size=3> </FONT></SPAN></FONT></SPAN></SPAN><SPAN
style="FONT-FAMILY: 'Times New Roman','serif'"><FONT face="Arial Narrow">POVERA
TREVISO, OPULENTA PADOVA. <BR>Devo un grazie di cuore a Giorgio Betteto: sono
felice quando risulto divertente e regalo allegria al mio prossimo strappandogli
qualche risata. <BR>Convengo in tutto con lui che dire che Treviso era povera e
Padova opulenta è schematico e dunque perfino banale (dico solo che un testo del
genere non è un trattato di sociologia e non deve scendere in particolari).<SPAN
style="mso-spacerun: yes"> <BR></SPAN>A Betteto ricordo uno sponsor che
gli è sfuggito nel lungo elenco dei ricchissimi patron di Treviso: le Ferrovie
dello Stato. <BR>Nemmeno una lira, ma possibilità di viaggiare gratis nelle
trasferte sui comodissimi vagoni lignei di terza classe.<BR>E tuttavia vorrei
eccepire. <BR>Il rugby a Treviso era povero, poverissimo. Quando vinse lo
scudetto, la Faema non la fumò proprio nessuno, come se nulla fosse
accaduto.<BR></FONT></SPAN><SPAN
style="FONT-FAMILY: 'Times New Roman','serif'"><FONT face="Arial Narrow">La
stragrande maggioranza di chi lo praticava vi vedeva l’unica possibile forma di
riscatto sociale, di promozione. Ed era l’unico modo di stare in gruppo, di far
parte di una qualche aggregazione. Nel mio volume TREVISO LA PRIMA VOLTA avrei
tranquillamente potuto mettere il sottotitolo: CENTO STORIE DI ORDINARIA
MISERIA. <BR>Gildo Mestriner, contadino di Villorba per nascita e seconda linea
per elezione, giocò fino a quarant'anni (e vinse il titolo a 38) perche le
botte che prendeva giocando a rugby erano l'unica cosa che lo facesse star
bene. Erminio "Mirko" Borelli portava per 100 lire al colpo le borse dei
compagni che potevano permettersi il lusso di elargire quella cifra.<BR>Il
"ricco" bancario Giorgio Panizon si iscriveva a referto con un nome falso per
non far vedere che giocava ai suoi datori di lavoro e al lunedì -storico- si
presentava con fratture non curate, ostentando indifferenza.<BR>E via
all'infinito.</FONT></SPAN><SPAN
style="FONT-FAMILY: 'Times New Roman','serif'"><FONT
face="Arial Narrow"><BR>Treviso assomigliava piuttosto a Rovigo: non fu un caso
se qui approdarono prima Maci e poi Topa. E certo non fu un caso se Battaglini
andò ad abitare a Santa Bona uno dei quartieri più poveri (e più rossi) di
Treviso.<BR>Racconto un episodio che riguarda il mio amico Lucrezio “Catin”
Carnio, prima guerriero della mischia trevigiano poi buon arbitro.<BR>Di ritorno
da una trasferta milanese (anno del primo titolo: 55/56) la squadra capitò in
centro a Treviso, in un ristorante storico, Il Bersagliere. <BR>Non avevano una
lira. <BR>Il padrone del ristorante si accorse dello sguardo di avidità che
Catin buttò sulla brenta della pasta e fagioli: forse una cinquantina di
porzioni. <BR>Gli disse: “Se la mangi tutta è gratis, se no paghi”. <BR>Catin
non esitò e ci si buttò sopra. <BR>Vinse la sua battaglia anche se solo
moralmente perché si fermò (dovette fermarsi) a due dita dal fondo della brenta.
Pieno e teso come un otre. <BR>Solo che la pasta e fagioli cominciò a
fermentargli in pancia e i suoi compagni di squadra dovettero, tra dolori
atroci, farlo camminare su è giù fino all’alba per il Calmaggiore. <BR>Finché
Lucrezio si liberò. <BR>Niente a che fare con Stromboli ed Etna: i vulcani di
solito eruttano da un cratere solo. Lui no.<BR>Ecco, vedi Betteto, quando dico
POVERA TREVISO penso a Lucrezio Carnio.<BR>Quando dico OPULENTA PADOVA penso che
tra Bò e Prato della Valle, tra via Altinate e Piazza delle Erbe questo non
sarebbe mai accaduto.<o:p></o:p></FONT></SPAN></P>
<P style="MARGIN: 0cm 0cm 10pt 18pt" class=MsoNormal><SPAN
style="FONT-FAMILY: 'Times New Roman','serif'"><FONT face="Arial Narrow">Un
abbraccio e un grazie di cuore a tutti<o:p></o:p></FONT></SPAN></P>
<P style="MARGIN: 0cm 0cm 10pt 18pt" class=MsoNormal><SPAN
style="FONT-FAMILY: 'Times New Roman','serif'"><FONT face="Arial Narrow">gian
domenico
mazzocato<o:p></o:p></FONT></SPAN></P></FONT></STRONG></DIV></BODY></HTML>