<!DOCTYPE HTML PUBLIC "-//W3C//DTD HTML 4.0 Transitional//EN">
<HTML><HEAD>
<META http-equiv=Content-Type content="text/html; charset=iso-8859-1">
<META content="MSHTML 6.00.2900.3059" name=GENERATOR>
<STYLE></STYLE>
</HEAD>
<BODY bgColor=#ffffff>
<DIV><FONT face=Arial size=2>....per la serie: essere o non essere questo è il
problema...</FONT></DIV>
<DIV><FONT face=Arial size=2></FONT> </DIV>
<DIV><FONT face=Arial size=2>Da Il Giornale</FONT></DIV>
<DIV><FONT face=Arial size=2>
<P class=titolo_notizie_interna>Dove crede di essere Guidolin, nel rugby? </P>
<P class=xsottotitolo></P><SPAN class=xtesto_piccologrigio>di <A
href="http://www.ilgiornale.it/la_aut.pic1?ID=0">Redazione</A> - lunedì 12 marzo
2007, <FONT color=red>07:00</FONT></SPAN>
<P class=testo_notizie><SPAN class=xtesto_notizie><!-- Layout una colonna -->C’è
un altro buon motivo per dividerci: il gol di Mutu. Una questione di fair-play,
quasi morale. Noi, figurati. Per i pochi che hanno trascorso il week-end sulla
luna: Guana, del Palermo, si accascia a centrocampo per un guaio muscolare, il
viola Mutu prende la palla e va in porta, fingendo di non sentire le invocazioni
a fermare sportivamente il gioco. L’occasione mette singolarmente di fronte due
degli allenatori più corretti, ma così è la vita: sulla questione di principio,
perché tale questo gol subito diventa, ci si impunta e ci si affronta. Arrivando
anche ai ferri corti.<BR>Per la verità, Prandelli è molto tranquillo: «Le nuove
regole dicono che eventualmente tocca all’arbitro fermare il gioco. E poi Mutu
ha proseguito un’azione molto lunga, non è che abbia buttato subito la palla in
rete...». Dall’altra parte, una furia umana: Guidolin. Riassumendo: «Ho visto
una cosa squallida. Mutu ha fatto una furbata, perché tutti hanno notato che
Guana s’era fatto male. Ma voglio passargliela. A una furbata, però, si può
rimediare. È per questo che ce l’ho col mio collega: avrebbe potuto fermare la
squadra, farci pareggiare, quindi ripartire lealmente dall’1-1. Invece è
riuscito solo a darmi del pazzo. Niente, con lui ho chiuso: per me non esiste
più. Poi si fanno tante chiacchiere sulla lealtà... Spero solo che quando
capiterà a me, riuscirò a comportarmi come si deve. Altrimenti significherà che
non sono un uomo, ma un poveretto».<BR>Allora, da che parte stare? Chi ha
ragione? Entrambi hanno qualche buon motivo da esibire. Prandelli è Pra-gmatico:
se c’è un infortunio deve fischiare l’arbitro, non ha fischiato, cosa vuoi da
me? Guidolin è romantico-idealista, ascendente utopista: se c’è una furbata del
singolo, in buona o in cattiva fede, il responsabile della sua squadra deve
rimediare - come succede qualche volta in quei luoghi remoti e citatissimi del
Nord-Europa -, ristabilendo il principio di sportività.<BR>Mettiamola così:
sarebbe meglio che avesse ragione Guidolin, ma purtroppo ha ragione Prandelli.
Certo è molto bello pensare che una squadra, una volta consapevole d’aver rubato
qualcosa, sia capace di restituire il bottino. Ma cerchiamo d’essere
rea</SPAN></FONT>listi: qui, in questa zona del mondo, in questo luogo
pittoresco e scamiciato, dove i principi fondamentali su cui si basa la
convivenza civile si chiamano furbizia e opportunismo, non ce lo possiamo
permettere. Spiace per Guidolin, e anche un po’ per noi, ma se ci guardiamo allo
specchio dobbiamo trarre inevitabili conclusioni. Qui, già nelle scuole calcio,
chiediamo all’attaccante di buttarsi in area e al difensore di picchiare. A
entrambi chiediamo di perdere tempo, quando ci troviamo in vantaggio. A rubare
metri con la barriera, quando subiamo una punizione. A rubarli col pallone, se
la punizione dobbiamo batterla noi. Spieghiamo così: per fare risultato, non
bisogna andare per il sottile. E lo sport, amico mio, non è esercizio per
signorine.<BR>Certo, siamo anche quelli che citano sempre il modello del rugby,
dove la gente si picchia cocciutamente, ma in modo onesto, senza carognate, con
grandi strette di mano finali. Lo portiamo immancabilmente ad esempio, questo
valoroso atleta del rugby. Lo ammiriamo e lo esaltiamo, questo individuo così
leale. Ma diciamolo una volta per tutte: un conto è ammirarlo, un conto è
esserlo. </P></DIV></BODY></HTML>