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<DIV><FONT face=Arial size=2>Puntualmente quando nel calcio ci scappa il morto
(ma forse da noi morto è proprio il mondo del pallone) il rugby diventa la
faccia pulita della medaglia, quella bella, in cui, udite udite, i giocatori si
salutano a fine partita, mangiano insieme, la gente va allo stadio per
divertirsi e non per ammazzarsi, ci sono le donne e i bambini, si cantano gli
inni, si applaude l'avversario, si fa la ola anche quando si perde 39-3, si
incoraggiano i propri negli ultimi minuti di una partita persa da sempre, si
aspetta l'arbitro che guarda la moviola e non si fanno processi infiniti alla
moviola, Wilkinson segna una meta irregolare e tutti, avversari compresi, non
fanno che restare estasiati dalla bellezza di quella meta che non doveva essere
assegnata. E allora, dopo la batosta che ci hanno rifilato i signori d'Oltralpe,
sui nostri giornali si è parlato più della stranezza che si respirava al
Flaminio, della tranquillità del pubblico, del fatto che non esistano
settori-gabbia per i tifosi ospiti, della polizia che guarda la partita e non
gli spalti!. E le domande fatte ai Vip della tribuna d'onore (Veltroni solo per
un tempo, Melandri, Petrucci, etc. etc.) erano tutte sullo stesso argomento,
sulla "irrealtà" della situazione, su come sia strano andare allo stadio
solo per vedere una partita e magari divertirsi... La coincidenza con la
giornata nera del calcio ci ha aiutato a sorvolare sulla batosta
rimediata in campo, così il rugby ha vinto. E l'Italia, quella che deve
difendere l'azzurro per 80 minuti, ha perso. Eccome se ha perso. Ho visto gente
del rugby contenta, gratificata da questa diversità, come se ogni volta fosse
indispensabile stare lì a ribadire che noi siamo più belli, più bravi, più
buoni.</FONT></DIV>
<DIV><FONT face=Arial size=2>Sinceramente ho sempre pensato che gli strani siano
gli altri e nel tempo mi sono convinto che il grande limite del rugby di casa
nostra sia proprio quello di credersi un'elite, una roccaforte di valori
inespugnabile, una cosa tutta nostra che ci rende belli agli occhi del mondo
sporco e cattivo. Non se ne può più, perché non è strano andare allo stadio
senza il desiderio di ammazzarsi, non è splendido non pensare che l'arbitro
sia sempre in malafede, non è eroico salutare l'avvrersario che ti ha battuto
sul campo, non è unico permettere alle donne e ai bambini di partecipare a un
evento sportivo, non è incredibile lottare fino all'ultimo minuto di una partita
persa. Finché staremo qui a sottolineare questa diversità ci riempiremo di falso
orgoglio per una cosa che è normalità. Questo è lo sport, è come parlare di
quanto sia educato un bambino di seconda elementare che la mattina non manda
affanculo la maestra che gli ha chiesto di non parlare con il vicino di banco. E
lo premiamo pure, perché tanto gli altri o la mandano direttamente affanculo o
ci pensano i genitori per lui. Ma chi è lo strano? Il fatto è che si è spostato
il limite della normalità. E dell'educazione.</FONT></DIV>
<DIV><FONT face=Arial size=2>Voglio vedere se dopodomani a Twickenham i
giornalisti inglesi sprecheranno una riga per parlare del fatto che allo stadio
non ci saranno stati incidenti, che la gente ha cantato e, magari, applaudito
una bella azione dell'Italia. E guardate che saremo nella terra degli hooligans,
dei deliqnuenti da stadio, del tifoso che l'altro ieri solo per aver
sbeffeggiato il portiere della squadra avversaria si è beccato 4 mesi di galera
senza condizionale. Quando potremo parlare di rugby, di situazioni di gioco, del
perché gli altri viaggiano a una velocità diversa dalla nostra, allora sì che
saremo cresciuti e che avremo affermato la vera diversità di uno sport. Perché
poter andare allo stadio senza la paura di rimanerci per sempre non è un fatto
eccezionale. E' la pura, semplice, normalità.</FONT></DIV>
<DIV><FONT face=Arial size=2>Scusate per la lunghezza.</FONT></DIV>
<DIV><FONT face=Arial size=2>Ciao e con chi ci sarà ci vediamo a Twickenham. Una
pinta a chi si fa riconoscere.</FONT></DIV>
<DIV><FONT face=Arial size=2>Valerio</FONT></DIV></BODY></HTML>