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size=3><FONT face=Arial size=2>LINK: <A
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<DIV><FONT face=Arial size=2>(per gli amanti - ce l'ho anche originale
scannerizzato ma è "pesante")</FONT></DIV>
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<DIV><FONT face=Arial size=2><FONT size=3><FONT face="Times New Roman">Sezione:
carceri - Pagina: 019</TD> <TD align="right" colspan="2"></FONT></FONT></DIV>
<DIV id=bottone_stampa><A href="javascript:window.print()"><FONT
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<DIV></TD></TR><TR><TD class=data colspan="3">(4 gennaio, 2007) Corriere della
Sera </TD></TR><TR><TD class=data colspan="3"> </TD> </TR><TR><TD
class=bold colspan="3"> </TD> </DIV>
<DIV> </DIV>
<DIV></TR><TR><TD class=data colspan="3"><STRONG>Nel carcere minorile lo sport
come metodo di rieducazione. E c' è anche la squadra di volley, all' inizio
rifiutata come «disciplina da femmine»</TD> </TR><TR><TD class=data
colspan="3"> </TD> </TR><TR><TD class=tit colspan="3">il Napoli rugby gioca
con i ragazi di Nisida. "colpi duri ma rispetto, cosi' cambia la vita
"</STRONG></TD> </DIV>
<DIV></TR><TR><TD colspan="3"></DIV>
<DIV class=bold></DIV>
<DIV></TD></TR><TR><TD> </TD> <TD width="25%"> </TD> <TD
width="24%"> </TD> </TR><TR><TD class=data colspan="3">DAL NOSTRO INVIATO
NAPOLI - Il professor Salierno, maestro di rugby, in napoletano dice «guagliò,
voi il pallone dovete passarlo nelle mani del compagno, non sulle ginocchia o in
faccia. E con la forza giusta». I ragazzi guardano l' ovale, uno suggerisce all'
amico: «E tu pensa che è un orologio». L' allenamento riprende: corse, scontri,
placcaggi. L' esperimento va avanti dal novembre 2005, quando un gruppo di
giocatori dell' Amatori Cus Napoli, campionato di serie C, ha cominciato a
insegnare il rugby ai detenuti di Nisida. Alcuni dei giovani chiusi nell'
istituto minorile di Napoli, assicurano gli atleti, questo sport ce l' hanno nel
sangue. Dicono che è «un fatto di giusta cazzimma»: misto di cattiveria,
agonismo, prontezza e napoletanità. Loro lo sanno, perché sono uguali ai ragazzi
finiti dentro. Si chiamano Rudi, Dario, Enzo, Tonino «' o chiattone», c' è
Stefano che ha giocato in serie A, e poi in Argentina e Nuova Zelanda. Vengono
dalle stesse strade di chi è chiuso a Nisida, ora giocano assieme. Dalle celle
scendono al campetto detenuti-ragazzini: pochi peli di barba, corpi nervosi, gli
occhi che non stanno mai fermi. Sono giovani che hanno sofferto e provocato
dolore, alcuni hanno fatto i delinquenti sul serio e ora pagano un prezzo alto.
Uno di loro a fine partita va alla fontana per buttare acqua sulle abrasioni e
domanda: «Ma i campi da rugby sono così?». Non proprio: hanno l' erba e, sotto,
la terra morbida. Eppure questo prato sintetico c' è chi ormai ha preso a
chiamarlo Twickenham, come lo stadio dei campioni del mondo inglesi. All' inizio
il direttore dell' istituto, Gianluca Guida, era un po' allarmato: «Ragazzi, mi
raccomando! Stasera di turno c' è solo un infermiere». Ma nel corso del primo
anno gli unici a farsi male sono stati i rugbisti veri: in tre si sono rotti le
ossa, sempre contro la testa dura di un detenuto esile ma portato per il
contatto. Scontata la pena, quel giovane è uscito e ha trovato lavoro in un bar.
Lì lo ha recuperato Enzo Jorio, tecnico dell' Amatori: «Vuoi giocare con noi?».
Oggi il ragazzo è tesserato nell' under 19 della società napoletana e si allena
con la prima squadra su un terreno da calcio ad Agnano, visto che l' Amatori un
campo suo non ce l' ha. Jorio ha passato la vita tra il rugby e un lavoro all'
Italsider di Bagnoli: ogni giorno vedeva il profilo dell' isola-carcere e
sognava di portare il rugby lì dentro. «Perché è uno sport sociale - dice - che
ti cambia». A chi è stato rinchiuso per aver violato le regole, Enzo voleva
insegnare una disciplina dove si combatte rispettando arbitro e avversari, il
vincente aspetta lo sconfitto all' uscita dal campo e lo applaude, e a fine
partita le due squadre mangiano assieme. Ce l' ha fatta: un mese e mezzo fa è
cominciata la seconda stagione di rugby dietro le sbarre. Stavolta a presentarla
c' erano tecnici federali con la tuta della Nazionale. Hanno portato un buono
per l' acquisto di maglie e palloni. Hanno spiegato ai ragazzi che «non conta
vincere, ma portare avanti la palla. E questo nessuno può farlo da solo, senza
il sostegno dei compagni». Hanno parlato di «rispetto, ma nel contatto fisico».
Poi tutti in campo a giocare. Il sogno di Jorio che diventa realtà. Del resto,
quest' isola ha qualcosa di onirico. Il direttore cammina tra le testimonianze
dei tempi d' oro: il murale disegnato da Hugo Pratt, le foto di quando Edoardo
De Filippo veniva qui a fare teatro. Parla dell' istituto: muri e cortili di una
«struttura» che è nata per contenere, custodire, e fa sentire prigionieri perché
non può essere diversamente. I ragazzi dormono dietro porte di ferro dipinte di
rosso, con enormi serrature e piccole feritoie. In celle piene di immagini di
Padre Pio, foto di macchine e moto, flaconi di detersivo e docciaschiuma. «Pochi
di loro - spiega Guida - vedono nelle attività che facciamo qui qualcosa che può
accompagnarli a una vita diversa. Ma quando lavori con i minori non guardi ai
numeri». Strappare alla criminalità i giovani di Napoli, anche solo qualcuno, è
la sua scommessa. La rinnova ogni mattina, qualche volta la vince. Assieme agli
uomini del Dap, che sono quasi tutti senza divisa; al cuoco, zio Peppe, che sta
qui da 28 anni e quando può si porta a casa i ragazzi in permesso; a chi viene a
insegnare lo sport. Discipline «minori», ma considerate più formative. L' anno
scorso di calcio si è parlato solo al corso arbitri organizzato dalla Figc: a
presentarlo era venuto Gigi Agnolin. In compenso i detenuti sono andati in barca
a vela, grazie all' impegno di uno skipper e una psicologa e ai soldi dei
coniugi Gioia, che ricordano così loro figlio Roberto, velista morto in un
incidente. «Noi i fondi per tutto questo non li avremmo - dice Guida -. Il
merito è di Napoli: Nisida è un quartiere della città e i napoletani guardano
quello che succede qui dentro». Come Piero Versaci, che ha fondato una squadra
di pallavolo. Lo «sport dei fimmine», gli hanno detto schifati i detenuti all'
inizio. Lui ha resistito e ha creato il «Nisida Dream Team». Nel 2005 hanno
fatto il torneo Csi, giocando tutte le partite in casa, nel campo aperto vicino
al grande portone metallico. Quando il tifo montava, agenti, recluse della
sezione femminile, educatori, impiegati, cominciavano a urlare insieme
«Ni-si-da», «Ni-si-da». Dicono mettesse i brivid. 450 I giovani detenuti. Da
Roma in su, la maggioranza è composta da immigrati, che nelle regioni del Nord
raggiungono il 90% (quasi tutti rom e maghrebini) . 18 *** Gli istituti penali
per minori sparsi per l' Italia. Soltanto 4 hanno una sezione femminile: Roma,
Milano, Torino e Nisida *** </TD></TR><TR><TD> </TD> <TD> </TD>
<TD> </TD> </TR><TR><TD class=data><B><I>Porqueddu
Mario</I></B></TD></TR></FONT></DIV></BODY></HTML>